Siamo all'inverosimile. Delirano. Nell'assoluta ignoranza e inconsapevolezza, ascoltano testimoni interessati e inattendibili. Ma, soprattutto, parlano di cose che non conoscono e che non hanno mai visto. I dipinti sono corpi viventi, e vanno studiati e analizzati nella loro fisicità, nella loro materia, nelle loro dimensioni. Qui l'esercizio maniacale contro di me è su fotografie e su testimonianze improbabili.
La storia è molto più semplice: in un edificio del Seicento presso Viterbo, la Maidalchina, acquistata da mia madre nel 2000, fra centinaia di mattoni, di infissi, di porte originali d'epoca, emerge, reimpiegata in una intercapedine della scala, una tela con alcune figure. Il soggetto è un episodio della vita di San Pietro e la tela risulta documentata in un registro d'archivio nel 1649. Non fatico a riconoscerne l'autore in Rutilio Manetti, pittore senese attivo anche a Firenze e a Roma. Al ritrovamento e al recupero assiste un amico che era venuto in più occasioni: «Ricordo bene la villa di Viterbo, avevo fatto molti sopralluoghi per valutare la possibilità di metterci della ceramica finto marmo». È con lui che trasportiamo l'opera a Ferrara dove rimarrà in deposito fino al giorno in cui un autista, che ben ricorda, con altre opere, la porterà nello studio del restauratore Gianfranco Mingardi a Brescia. Mingardi aveva tempi lunghi e, talvolta, indugiava e tratteneva le opere anche per molti anni. Quando, dopo alcuni anni, il dipinto ritornò, io, come era già accaduto, mi mostrai insoddisfatto dell'intervento e lo affidai a un altro restauratore. A restauro concluso l'opera fra 2021 e 2022 è stata esposta alla mostra «I pittori della luce» a Lucca, e vista da migliaia di persone tra le quali illustri critici che non osservarono né anomalie né integrazioni né rifacimenti, né tanto meno pensarono di essere davanti a una riproduzione fotografica.
L'inverosimile ricostruzione di due giornalisti, amplificati dal pappagallo Scanzi, arriva fino al punto di ipotizzare che io avrei deciso di esporre una foto al posto dell'originale. Perversione masochistica: avendo scoperto un'opera sconosciuta, ne presento in mostra una riproduzione. Anche qui le fonti di informazione sono inquinate. In questo caso si tratta di un altro incompetente: un fotografo alla ricerca di pubblicità che sentirete vaneggiare in televisione questa sera, tale Samuele, titolare di un laboratorio fotografico a Correggio, raccomandato dall'amico Belluzzi, e da me chiamato per bonificare alcune superfici con guaine isolanti durante il Covid, e poi incaricato della riproduzione della Nascita di Venere per la mostra su Botticelli al Mart di Rovereto. L'esito fu disastroso, e criticato dai conservatori del museo che poterono misurarne l'inadeguatezza: Denis Isaia e Beatrice Avanzi. Impari fu il risultato al confronto con il leader nel campo, la società Factum Arte di Adam Lowe con sede a Madrid, che raccomando per qualità e impegno. Di qui deriva l'inspiegabile astio nei miei confronti del giovane Samuele che, avendo sempre lavorato nonostante la modesta qualità, ha cercato e ottenuto di farsi intervistare per dire cose insensate e calunniose. Fra queste la preoccupazione postuma di aver tenuto in laboratorio un'opera rubata, che era invece il dipinto di mia proprietà, molto diverso dalla copia ottocentesca che io avevo visto anni prima nel castello di Buriasco. Il collegamento del furto di quella con le dichiarazioni false e diffamatorie di persone animate da spirito di rivalsa porta alle ricostruzioni illogiche di chi è ossessionato dal caso inesistente.
Spiegherò dati assolutamente semplici. Come i quadri si giudicano nella loro fisicità, sugli originali, così è possibile procedere ad analisi per accertarne l'autenticità e gli eventuali interventi più recenti. È una cosa semplice, alla quale io provvederò spontaneamente, fornendo i risultati delle ricerche che in parte ha già condotto la più importante società diagnostica italiana, la Editech di Maurizio Saracini. E che io consegnerò, su richiesta, alle autorità competenti. È evidente che i miei interlocutori non possono essere due spaventapasseri o una fedifraga trasmissione televisiva il cui principale obiettivo è screditare il governo di cui io faccio parte, con l'obiettivo dichiarato di farmi dimettere e di intimidirmi, attraverso una palese e sistematica operazione di stalkeraggio mediatico. Per quale ragione una trasmissione del servizio pubblico, quale dovrebbe essere Report (e non lo è, visto che ormai sembra dedita a delegittimare esponenti del governo e della maggioranza politica che lo sostiene), pagata dai cittadini, deve fare da spalla e supporto al Fatto Quotidiano, giornale fazioso, inattendibile, popolato da giornalisti rancorosi e frustrati, che fa propaganda per i 5 Stelle?
Lo chiamano, impropriamente, «giornalismo d'inchiesta», ma è solo la prosecuzione della lotta politica attraverso l'inganno e le menzogne. Devo difendermi da una accusa assurda. Eppure ci sono le misure sensibilmente differenti tra l'originale e la copia rubata più grande di 30 o 40 centimetri. Se il dipinto fosse lo stesso, nella loro visita turistica al castello di Buriasco i due avrebbero dovuto trovare larghi residui della tela maldestramente tagliata, di cui invece hanno raccolto soltanto un minuscolo lacerto di pochi centimetri. È questa delle dimensioni, evidentemente, la prova regina; ma la differenza più evidente è nella spazialità, nella profondità, in una colonna che non risulta nella copia rubata e in una fiaccola che diffonde una luce molto vivida, non limitata al corpo luminoso, su cui si sono appuntate le osservazioni dei due pidocchi incapaci di intendere e di volere. E da me più volte denunciati per diffamazione. Proprio per la presenza di quella fonte radiosa ho incluso l'opera in una mostra dal titolo «I pittori della luce». Inoltre, in quell'area, oltre alla analisi delle lampade di Wood, ho già fatto eseguire i prelievi del colore che accertano la contemporaneità di quella porzione della tela con la restante superficie pittorica.
D'altra parte, non solo è assai frequente, nella pittura antica, l'esecuzione di repliche o copie, ma proprio Rutilio Manetti ne dà prova eloquente in una sua composizione ripetuta con la variante di una diffusa luminosità e di tre cherubini, nel dipinto con le Stimmate di Santa Caterina, proclamate da Urbano VIII il 16 febbraio del 1630. Tolto l'effetto luminoso, i due dipinti sono pressoché identici, anche in motivi come l'intenso panneggiare, la posizione delle mani e il libro con il giglio. Parimenti è assai diffusa la pratica della copia. Nel caso del Manetti in esame è palese la profondità spaziale e il motivo architettonico che inquadra in modo mirabile, come non accade nella copia, l'intera parte sinistra del dipinto. Una soluzione da maestro, in pieno spirito caravaggesco. Che proprio nella luce vi sia la differenza fra i due quadri, anche nella Santa Caterina, con l'estasi potenziata dalla luce, mi sembra un indizio probatorio. Altro elemento interessante, per far capire le ambiguità del furto nel castello di Buriasco, dove io ricordo decine di copie di quadri seicenteschi, tutte di modesta qualità, è che la cornice della fotografia allegata alla denuncia dopo il furto è diversa da quella ripresa nel sopralluogo degli inviati di Report. Si aggiunga che nel testo della denuncia si fa richiamo a una «riproduzione dell'originale che si trova in Vaticano raffigurante un giudice che condanna un uomo dal viso venerando dal profilo di San Paolo. L'opera è stata raffigurata da un autore ignoto ricordante i pittori Solimena e il Cavallino». Una ben diversa proposta per come l'opera era degradata e trascurata.
Nessun riferimento al Manetti, di cui mi fu subito evidente l'attribuzione dell'originale di mia proprietà. Se ne può derivare che i dati vengano da una scheda ricognitiva ministeriale, probabilmente predisposta per il vincolo dell'edificio nel 1946. La descrizione professionale per la modesta copia si deve sicuramente a un funzionario del ministero che, al di là dell'autore, ne individua la natura evidente di «riproduzione». Il mio dipinto è un'opera certa del Manetti e non ha alcun carattere di copia.
Per parlare invece delle duplicazioni fotografiche chieste al laboratorio di Correggio, esse si inseriscono in una situazione assai particolare, cui si può risalire anche osservando la fotografia pubblicata dello studio di Correggio. A sinistra del Manetti appare infatti una veduta del Po, un paesaggio che mi è molto caro, a cui ho pensato in momenti difficili. È tutto molto più semplice dei tentativi di giudicare i quadri sulle fotografie senza il minimo riscontro con la realtà. Io i risultati delle indagini li ho, voi avete ridicole congetture.
Mi ascolti bene Ranucci, mi ascolti bene Bonaccorsi, la cui compagna Arianna Catania ha utilizzato finanziamenti (84mila euro) del ministero della Cultura e del Comune (10mila euro) per il «Gibellina foto road», senza rendiconti certi, e senza resoconti dei (modesti) risultati. Io ho avuto, ho ancora, un cancro alla prostata, sono stato sottoposto a 40 sedute di radiazioni alla clinica Regina Elena, dal dottor Giuseppe Sanguineti. Dovete immaginare un tempo lungo di solitudine, disteso, a gambe aperte, in una stanza chiusa, sotto un soffitto bianco. Ho pensato allora ai luoghi della mia infanzia, ai notturni padani, pieni di voci, e ho donato all'ospedale il dipinto più poetico di Adelchi Riccardo Mantovani, il pittore ferrarese che ha vissuto tutta la vita a Berlino. Ho pensato allora, mentre facevo riprodurre per la mostra di Botticelli al Mart la Nascita di Venere, di far replicare il Notturno di Adelchi, insieme ad altri quadri come il Manetti, per la comunicazione della mostra a Lucca, che propone grandi riproduzioni all'esterno.
Ma non vi dico la sensazione, né vi posso augurare di provarla, ad essere sottoposti a radiazioni, distesi su un lettino d'ospedale, avendo davanti agli occhi l'immagine
di un paesaggio della vostra infanzia: diventa un sogno. Ecco perché l'ho fatto riprodurre. Quello del vostro racconto è invece un incubo, più violento del cancro. Ma le vostre minacce si dissolveranno davanti alla verità.
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