Sul presepe adesso è guerra di cifre

Nino Materi

«Se i presepi sono stati ritirati da alcune catene di grandi magazzini non è perché il "prodotto" è in crisi di vendite. Anzi, a noi risulta esattamente il contrario». Dal suo osservatorio privilegiato l’Assogiocattoli «smonta» la giustificazione avanzata da alcuni colossi della distribuzione per spiegare la scelta di non vendere più la capanna con Gesù Bambino: Rinascente, Standa e Oviesse sono stati concordi nel dire che il «no» al presepe «nasce da ragioni di marketing e non da scelte religiose. Mentre l’Ikea ha precisato che l’azienda svedese «non ha mai venduto il presepe perché non fa parte della tradizione nordica».
A fare chiarezza sui dati relativi alla presunta «crisi» commerciale del presepe è arrivata ieri la precisazione dell’Assogiocattoli: «Quanto riportato con riferimento alle scelte di alcune isolate catene distributive non corrisponde alla realtà del mercato. La tradizionale vendita degli articoli del presepe è inscindibilmente legata alle vendite degli alberi e degli addobbi natalizi». Come dire che se gli alberi di Natale e gli addobbi continuano a essere venduti regolarmente, l’ostracismo circoscritto alla grotta simbolo della Natività può essere ricondotto solo all’intenzione di non «urtare» la sensibilità di fedi diverse da quella cattolica.
«E dire che il presepe è ancora uno dei pochi prodotti legati alla migliore espressione dell’artigianato italiano - spiega al Giornale Gianfranco Ranieri, vicepresidente dell’Assogiocattoli e presidente di Festivity, la seconda fiera europea specializzata in articoli natalizi -. La vendita dei presepi cresce annualmente tra il 5% e il 10% e dimostra che questa tradizione rappresenta ancora per le nostre famiglie un grande valore religioso, culturale e affettivo. Personalmente rispetto le scelte di chi ha rinunciato a vendere i presepi, ma non la condivido».
E che il presepe continui ad essere amato da Nord a Sud è dimostrato anche dal rilevante giro d’affari che ruota attorno ai negozi del commercio equo solidale. «L'anno scorso ne abbiamo venduti più di duecento, con prezzi variabili dai quattro-cinque euro ai sessanta - spiega Marina Gavagnin, titolare di una bottega a Mestre -. «È l'articolo più forte del Natale e ce n'è per tutti i gusti: in terracotta, soprattutto colorati, in legno, di stoffa, con materiali di riuso, e di tutte le dimensioni, dalla noce alla natività di grandi dimensioni».
Intanto il tormentone «presepe sì, presepe no» si è già trasformato in un «caso politico». A sollevarlo con toni e forme diversi ci sono in prima linea i senatori Alfredo Mantovano (An), Gaetano Quagliariello (Forza Italia) e il capogruppo udc alla Camera, Luca Volontè, tutti d’accordo nel proporre di «boicottare» i negozi che ne fanno una questione religiosa.

Di diverso avviso Fabio Nobile, capogruppo del Pdci al Comune di Roma: «Invece di pensare a boicottare i centri commerciali che non espongono le statuette del presepe, la Cdl si preoccupi dei diritti dei lavoratori in carne e ossa».
La demagogia non va mai in ferie. Neppure a Natale.

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