Sul ring della vita ci sono tanti che bluffano, ma scrivere è prendere a pugni il destino

Andrea Caterini torna dopo vent'anni nella palestra dove si era allenato. E vi riscopre i valori autentici altrove perduti

Sul ring della vita ci sono tanti che bluffano, ma scrivere è prendere a pugni il destino
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Tra le forme rimarchevoli di disconnessione fra mente e corpo, scriveva Norman Mailer, il knok-out del pugilato è la più esemplare e opportunamente Andrea Caterini (nella foto) lo ricorda all'inizio di Sparring partner (Editoriale Scientifica, pagg. 115, euro 10). Nel suo caso, la disconnessione riguarda il legame allentato fra una vocazione (sono certo che l'autore non sarà infastidito da questo termine, così impegnativo) e la vita quotidiana. Dopo un'infanzia e una giovinezza passate nella difficile periferia romana, Caterini ha iniziato a lavorare per la televisione, percorrendo in lungo e in largo un'Italia dove spesso l'autentico è indistinguibile dal farlocco, il popolare dal folkloristico e il locale dal globalizzato. Da qui un senso di nausea e l'urgenza di rimettere insieme interno ed esterno, obbedendo al monito di Forster dell'«only connect». Che stavolta equivale a tornare nella palestra di pugilato dove si era allenato vent'anni prima, ritrovarvi un compagno di ring diventato allenatore, inserirsi di nuovo nelle dinamiche di un luogo che educa a una disciplina che ha poco a che fare con lo sport e chiama in causa piuttosto l'abnegazione monacale e una mistica dell'esistenza singolarmente analoga a quella che alcuni grandi scrittori hanno indagato attraverso la letteratura. Vent'anni, però, non sono lo spazio di un mattino; da qui il ruolo inedito che nell'economia della palestra gli viene assegnato, quello del titolo.

Sparring partner è diviso in dieci capitoli, tanti quante le riprese di un incontro; prese assieme, adombrano un percorso iniziatico e assumono un valore allegorico assoluto: «La prima ripresa ci si studia», «La quarta ripresa è un nuovo inizio», «Nella sesta ripresa si fanno i conti con il tempo», «La nona ripresa ci si gioca la vita» e così via.

Spicca la figura di Maia, l'atleta che un giorno compare in palestra e che Caterini ha il compito di allenare; velocissima nel boxare, talentuosa ed elusiva, attira su di sé una quantità di ipotesi ed è la morale della favola personificata: fra un gancio e un jab (uno dei quali manda al tappeto l'autore) sembra voler rammentare che il passato non ritorna, che vincere non serve a niente e quel che conta, tutto sommato, è il modo più o meno eroico e conseguente con cui si impara la noble art della rinuncia.

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