Ho sempre considerato Giulio Tremonti un problema per il centrodestra, nonostante il suo valore. Anche in questi giorni di pressione perché cambi linea, Giulio resiste dimostrando grinta. Lui pensa che si debba proseguire con i sacrifici e la prudenza. Non è il momento di rilanciare l’economia con l’abbassamento delle imposte. L’obiettivo unico è la parità di bilancio. Questa è la posizione di Tremonti e non gli importa che il Cav, la Lega o chicchessia siano di parere opposto. La responsabilità dell’economia è sua e intende esercitarla. Se no, esce di scena.
È quello che si chiama carattere. Giulio è uno che se va bene ne rivendica il merito, se va male ne assume l’onere. Preferisco un ministro così caparbiamente autonomo ad altri del suo stesso governo - taccio i nomi, ma sono di peso - che se non fanno quello che promettono o sono criticati per ciò che fanno buttano la colpa sul Cav dicendo che li ha «costretti». Quelle sono comparse, Tremonti è protagonista.
Il ministro dell’Economia, dunque - ottimo per la tenuta dei conti - sul rilancio dell’economia è scettico. Dubita della capacità privata di produrre ricchezza, considera difficilmente comprimibile l’attività dello Stato, prematuro l’abbassamento delle aliquote, indipendenti da queste l’evasione fiscale, essenziale la sua riduzione, prioritario il pareggio, differibile ogni altra iniziativa. Insomma, lo status quo lo tranquillizza, la sperimentazione lo inquieta. Perciò ho detto che Giulio è un problema per il centrodestra che - teoricamente - ha nel programma l’aumento della ricchezza, il regresso dello Stato, il rilancio della libera iniziativa. Non lo sarebbe invece per il centrosinistra che non ha mai puntato allo sviluppo ma piuttosto alla redistribuzione delle ricchezze, sotto il controllo occhiuto di un Fisco, tanto meglio se tremontianamente severo.
Nei giorni scorsi, Giulio è stato molto franco. Ha detto ciò che pensava e si è capito come ragiona. Per ridurre le aliquote - ha precisato - deve trovare le risorse. Non solo combattendo l’evasione, ma o aumentando l’Iva, o dimezzando le agevolazioni tributarie, o tagliando le detrazioni, o riducendo prestazioni pubbliche, eccetera fino a trovare la «quadratura», versione colta della «quadra» bossiana. In soldoni: per lo Stato il conto deve tornare in ogni caso e il suo peso sui cittadini gravare sempre allo stesso modo. Se ti abbasso l’aliquota, ti levo la detrazione Irpef; se ti agevolo sull’Irpef, ti opprimo con l’Iva; se ti lascio il braccio, ti stacco la gamba. Della serie: per noi nulla è gratis; ogni giorno ha la sua pena.
Quello che a Tremonti non verrà mai in testa, quello che gli è estraneo per formazione e costituzione è che se lo Stato la smette di drenare soldi, l’economia riparte e si gonfia. Lui non crede che abbassando le tasse, l’evasione fiscale diminuisca, gli investimenti e i consumi aumentino, i portafogli si gonfino e alla fin fine, in questo tumulto, si moltiplichi anche il gettito tributario. Lasciamo che lo dicano i liberali, i liberisti, i friedmaniani, i reagan-tacheriani, pazzi furiosi che hanno disarticolato il mondo. Azzardi che potevano finire male e che, comunque, sono stati presto accantonati in Occidente. E se i russi ci hanno riprovato è presto per dire quale sarà l’esito. Se questo non è il pensiero conclamato è certo il retropensiero che Giulio cela dietro il simpatico sorriso piglia fondelli.
Le teorie economiche non sono il forte di Tremonti. Gli economisti - il liberista Antonio Martino, in primis - lo accusano di non essere un economista. Lui accusa gli economisti - Antonio Martino, in primis - di essere degli incompetenti. Il Cav gioca su questa rivalità, che rappresenta anime antagoniste del centrodestra, trascurando Martino finché è in buona con Tremonti e coccolando Antonio quando Giulio gli dà sui nervi.
Credo che il troppo di potere del super ministro lo condanni all’isolamento. Signore assoluto di un feudo impenetrabile in materia economica, è in continua lite con i ministri della spesa e con lo stesso premier sulle cui richieste si riserva l’ultima parola. Ai dissapori ha fatto il callo e, ritenendosi nel giusto, essere universalmente malvisto gli conferisce un alone super partes di cui si bea. Non è perciò alla solitudine verso gli altri che mi riferisco, ma a quella interiore. La sua è quella dello scacchista che, nel chiuso di una stanza, gioca entrambe le partite. Mettiamoci in questi panni. Tutto avviene nel suo cervello, senza che un avversario possa sorprenderlo. Se muove il bianco sa già quale sarà la contromossa del nero. Neanche potrà pensare al bianco senza individuare la difesa del nero. Quale il risultato di questa onniscienza? L’immobilità più assoluta.
È quello che accade al superministro dell’Economia, titolare di un falansterio che accorpa tre ministeri: Tesoro, Finanze, Bilancio. A lui tocca recitare tutti i personaggi in commedia. Deve badare alle Entrate, decidere le Spese, individuare i Tagli. Affezionato allo stesso modo a ogni settore, consapevole che se si tocca da una parte si apre un baratro dall’altra, avvilito insomma dalla stessa preveggenza dello scacchista solo, cadrà nella medesima inedia immobilista: lasciare le cose come stanno, tenere i parametri a posto, evitare traumi di cui, tirate le somme, sarà il responsabile unico.
Ecco perché è inopportuno sia la stessa persona a fissare il livello delle entrate e quello delle spese: tenderà ad adeguare le une alle altre, con zero progressi. A un eccesso di visione d’insieme, meglio un po’ di strabismo.
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