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A Milano aperto un consultorio specializzato in ospedale: «Un mal di pancia può nascondere problemi psicologici»

Gioia Locati

da Milano

Medico e consigliere. È lo specialista dell’adolescenza. L’ultimo nato fra i camici bianchi. Necessario. I disturbi, sia fisici, sia psicologici, di un ragazzino di 17 anni sono altra cosa da quelli che può avere un bambino di 3. In Italia gli adolescentologi, medici-pediatri che hanno conseguito la specialità all’Università Ambrosiana di Milano, non sono più di 150. Uno di loro è Marco Pandolfi, 51 anni. Specialista in «adolescentologia clinica» e «counselling» lavora in ambulatorio all’ospedale Fatebenefratelli di Milano nel reparto di Pediatria diretto da Luca Bernardo.
Che cosa significa counselling?
«È un termine che non si può tradurre con il nostro “consigliare”. L’adolescentologo deve essere capace di ascoltare la persona che ha di fronte, leggere fra le righe, intuire che cosa c’è dietro. Nello stesso tempo deve riuscire a cogliere i punti di forza del paziente, a tirargli fuori le qualità, questo è counselling. Spesso capita che i ragazzi non conoscano le loro risorse».
Come arriva un ragazzo al suo ambulatorio?
«A volte viene “dirottato” da un collega. Oppure si presenta di persona dopo un passa-parola tra amici. Gli chiediamo la prescrizione del medico di famiglia e paga solo il ticket. È fondamentale che il paziente scelga di curarsi e non si senta costretto. La prima tappa è il colloquio preliminare con lui e i genitori per presentare il lavoro».
Quali sono i disturbi più frequenti?
«Il mal di pancia o il mal di testa ripetuti. Lo spazio dell’adolescentologo è in un certo senso definito dal lavoro degli altri colleghi (qui siamo abituati a lavorare in modo multidisciplinare): quando abbiamo escluso le cause fisiche - appendicite o gastrite o malattie più serie - allora intervengo io. Questi sintomi diventano il segnale di qualcosa d’altro. Cerco di instaurare una relazione - mettendo da parte il disturbo - per capire dove far leva. E così cerco di cambiare il comportamento sbagliato del paziente che gli procura i sintomi. Spesso accade che dopo un paio di colloqui (durano in media 30 minuti l’uno) il ragazzo adotti dei cambiamenti che lo fanno stare meglio».
Che cosa nascondono in genere i disturbi più diffusi?
«Difficoltà a relazionarsi con uno o entrambi i genitori. O con il fidanzatino/a. Spesso, ed è tipico dell’età, ricorre il non piacersi. Mi sento dire: “Sono brutto”, “sono grasso”, “non mi vesto come gli altri”, “ho i brufoli”, “non so come farmi accettare”. Per la mia scuola, l’università Ambrosiana diretta da Giuseppe Brera di orientamento cattolico (www.siadnet.it), la salute del giovane è vista come “adattamento creativo e miglioramento della realtà sociale”. L’adolescentologo non è uno psicologo perché guarda alla persona nella sua interezza: mente, corpo e spirito sono un tutt’uno, per noi l’errore è soffermarsi solo sulla parte malata».
Fa anche colloqui di gruppo?
«Ho in mente di far partire qui al Fatebenefratelli il progetto “pari adolescenti” simile a quello che realizzai con un collega all’ospedale di Magenta. Ragazzi dai 14 ai 17 anni, sotto la mia guida, affrontano un argomento scelto da loro. Mi capitò “la bellezza” o la “figura del padre”. Di spunti per parlare se ne creano a bizzeffe e il medico guida il brainstorming.

Nello stesso tempo avevamo fatto un esperimento: test di valutazione sui ragazzi prima e dopo la terapia di gruppo. È emerso che gli incontri avevano contribuito ad aumentare la loro stima, la loro capacità di relazionarsi con gli altri e perfino il profitto a scuola.

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