Il tenore Domingo vince il cancro e per Barenboim diventa baritono

Placido Domingo, il tenore dei tenori, già si rimette in pista dopo l’intervento chirurgico d’inizio marzo, quando si temette il peggio. Si testa sul palcoscenico della Scala dove, da venerdì 16, sarà Simon Boccanegra nell’opera di Giuseppe Verdi diretta da Daniel Barenboim. Una prova del nove da far tremare i polsi poiché si sommano il ritorno alle scene, la sfida di lui, tenore, che opta per un ruolo da baritono (appunto Simone), e poi l’emozione di un titolo con il quale la Scala festeggia i quarant’anni di carriera milanese di Domingo. Eppure, lui si presenta più fresco che mai, sana abbronzatura, sobriamente elegante, e soprattutto con il savoir faire del gentiluomo che risponde affabilmente, per un’ora e mezza, alle domande - anche le meno indispensabili - di una folla di giornalisti. Tutti lì, compressi nella Sala Gialla del Teatro, per sapere come sta questo pezzo di storia della musica. Non tradisce emozione, Domingo, quando parla di quel tumore asportato di recente, però ammette che «certe parole ti fanno paura. Tremi. Sono ammirato per il progresso fatto dalla scienza e dalla tecnica. Ora ricorrerò a giornali, tv, radio per fare opera di sensibilizzazione intorno alla malattia, voglio spiegare come sia importante sottoporsi regolarmente a esami». Sui progetti futuri, Domingo è cauto. Si parlava di un suo Rigoletto, dunque altro ruolo da baritono, «prima voglio vedere come mi sento durante il Simone e come reagisce il pubblico, poi vedremo», chiarisce lui. Però è certo che in settembre, a Los Angeles, debutterà il suo 132esimo ruolo, ne Il Postino, opera replicata a Vienna e Parigi. E Milano? «Perché no, si potrebbero aprire le trattative», rilancia subito.
Domingo soggiorna a Milano fino a maggio. Perché non c’è in ballo solo il Simone, il tenore porta alla Scala anche il concorso che ha creato per giovani cantanti. La finale, aperta al pubblico, è attesa per il 2 maggio. Un concorsone, intitolato «Operalia», che dal 1993 ha saputo lanciare un bel po’ di voci: José Cura, Rolando Villazon, Erwin Schrott, Giuseppe Filianoti. Annualmente si sposta di città in città, e ora arriva alla Scala per un’edizione speciale, «perché ci sono tanti teatri importanti al mondo, ma la Scala è la quinta marcia». Domingo difende a spada tratta i giovani. Basta con i soliti adagi tipo «Non ci sono più i cantanti di una volta». Semmai: «Si tende a considerare la propria generazione come la migliore. Ma non è vero. Spuntano continuamente bei talenti, prima è stata la volta degli Italiani, poi degli Americani, quindi dei Russi e ultimamente dei Latino-americani, penso a Cura, Villazon, Florez, Alvarez». È vero, ma che dire di tante carriere folgoranti però di breve durata? Le istruzioni per l’uso - della carriera - di Domingo sono basilari: tutelarsi. «Oggi il problema non è tanto quello che canti, ma quello che ti fanno fare. Capita che sottopongano un giovane cantante a decine di interviste al giorno, per il marketing. E alla fine il cantante perde la voce: per la pubblicità». Talenti che ora fanno i conti con un mercato dell’opera piuttosto sofferente: e ciò ovunque. «La crisi ha fatto stragi e bisogna ricalibrare tutto. Conta preservare la qualità, quindi se non si possono mantenere otto titoli in cartellone, va bene proporne cinque purché ben allestiti. Bisognerebbe poi giocare di più la carta delle coproduzioni.

Ad esempio, nel 2013 ci sono tre anniversari, Verdi, Wagner e Britten, ora se un teatro vuole curare in esclusiva i titoli classici va bene, sono d’accordo, ma forse le opere minori potrebbero nascere dalla collaborazione fra teatri diversi».

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