Il cinema italiano è come le patate: il meglio è sottoterra. La Mostra di Venezia, che ogni anno vuol smentirlo accettando quel che ne resta, finisce col confermarlo regolarmente. Ma permette anche di (ri)vedere frammenti di quel che fu una grande stagione di spettacolo, originata non tanto dalla democrazia, quanto dalla cultura ancora seria che accomunava lultima epoca (1930-1946) dello Stato monarchico alla prima dello Stato repubblicano (1946-1980).
Che sia unepoca cinematografica alta, ma di trapassati, lo conferma anche il titolo della rassegna, «Questi fantasmi 2». La cura anche questanno Sergio Toffetti, direttore uscente della Cineteca nazionale. Che dice: «Se lo scorso anno, con Questi fantasmi, si vedeva una storia parallela rispetto a quella che ci hanno sempre raccontato, Questi fantasmi 2 rivela un panorama più mosso e frastagliato».
E infatti Uno tra la folla di Piero Tellini è un film che, da solo, giustifica un viaggio al Lido. Uscito nel 1946, ambientato a Torino, propone la vita quotidiana nella Repubblica Sociale, non solo loccupazione tedesca. Siamo fra inverno e primavera 1945: bombardamenti, afflusso di esuli dallItalia occupata dagli anglo-americani, attentati comunisti confluiscono nella quotidianità, dettata da compromessi politici e sessuali: non ci sono eroi, né fascisti, né antifascisti: i primi fucilano solo per passare di lì a poco tra i fucilati. E limpiegato De Filippo è il perfetto attendista.
Roba di ieri? La roba di oggi deriva comunque da lì. E nel passato della guerra e del dopoguerra cè molto che prefigura il presente. La questione dei profughi, oggi promossi a migranti, era ben più crudele allora, anche perché molti di loro erano italiani. E cera la questione delle province perdute. Da Trieste, ancora «Territorio libero», comincia nel 1950 Donne senza nome di Geza von Radvanyi (fratello del romanziere Sandor Marai) che compendia tutto questo e schiera un cast femminile eccezionale per lepoca: Simone Simon (che a Hollywood aveva girato per Jacques Tourneur Il bacio della pantera), Françoise Rosay, Valentina Cortese sono donne di vari Paesi, arenatesi in un campo di concentramento presso Alberobello. Tutte bianche, anzi alcune anche aristocratiche, ma non hanno altre possibilità che coltivare amori saffici, prostituirsi al barbiere albanese (Carletto Sposito!) del campo o sposare il maresciallo (Gino Cervi) che le sorveglia...
Comincia la ricostruzione. Nel 1953, Noi cannibali di Antonio Leonviola spiega che dalla miseria ci si libera più facilmente se si è belle come Silvana Pampanini. A lei, figlia di un pescatore di Civitavecchia, rovinato dai bombardamenti, lofferta di «compromesso» da parte di un arricchito (Folco Lulli) non dà altro scampo che la morte. Al reduce che lama, interpretato da Vincenzo Musolino, resta solo di vivere alla sua ombra. Guerra o non guerra, il mondo quello è, e quello resta.
Ispirato alla vicenda del carabiniere e martire Salvo dAcquisto, La fiamma che non si spegne di Vittorio Cottafavi si occupa delle eccezioni. Presentato alla Mostra del 1948, questo film sollevò la furia di molti critici, che ne chiesero l'esclusione dal concorso (come sarebbe accaduto nel 1984 contro Claretta di Pasquale Squitieri). Anche La fiamma che non si spegne merita un viaggio a Venezia. Superiore ai due rifacimenti, uno cinematografico e uno tv, il film di Cottafavi culmina - come questi ultimi - nella fucilazione dellincolpevole DAcquisto, offertosi come scudo degli ostaggi presi dai tedeschi occupanti.
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