Un Tiger dal volto umano re del British Open E Romero è il suo delfino

Mario Camicia

L’Open Championship, ovvero quello che «volgarmente» per i britannici viene chiamato il British Open, ancora una volta ha scritto un pezzo di storia del golf come regolarmente avviene dalla sua prima edizione datata 1860 e giunta quest’anno alla sua 135ª. Noi de il Giornale ne abbiamo seguito gli sviluppi giorno per giorno e ora è il momento della riflessione e delle considerazioni. Tiger Woods che alcuni, come al solito, davano in crisi dopo aver mancato il «taglio» allo Us Open ha smentito le cornacchie (!) e ha dimostrato non solo di essere ancora il più forte ma anche il più intelligente. Con un percorso preparato come vuole la tradizione - rough alto e fairways secchi, in assenza di acqua celeste - Tiger ha deciso fin dal primo giro di giocare senza rischi e sfruttando anche l’assenza di vento ha tirato fuori dalla sacca solo in rare occasioni il driver o il legno 3 per i colpi di partenza. Ho sentito critiche per questa sua strategia da più parti - a livello di golfisti amatoriali - così come nei confronti del percorso che in molti hanno pensato di definire un «campo di patate». Senza offesa per nessuno vuol dire non conoscere la storia dell’Open Championship, della filosofia dei links (i percorsi di mare dove da sempre viene giocato l’Open), dove la differenza la fa il vento che se ci fosse stato avrebbe costretto anche Woods a tirare fuori i legni dalla sacca. Un Woods che ha giocato - lo si è capito solo dopo l’ultimo giro - con qualcosa in più del suo solito abituale approccio ad un torneo del Grande Slam. Non c’era solo la voglia di cancellare lo Us Open di giugno, quella di vincere il suo undicesimo torneo dello Slam in dieci anni di carriera: c’era anche e soprattutto il cuore, l’affetto e la riconoscenza di un figlio per un padre Pigmalione e tutore golfistico scomparso solo tre mesi fa.
Tiger che imbucato l’ultimo putt esulta ma dopo un attimo scoppia in lacrime vere - quelle che il mondo intero ha visto in tv - sulla spalla del suo fido caddie e amico Steve Williams hanno commosso tutti ma soprattutto ci hanno fatto capire che il «fenomeno» è un essere umano e che considererà sempre il successo al Royal Liverpool come il più importante della sua vita.
Per noi italiani, Edoardo Molinari è stato una bandiera, la sua grinta, la sua determinazione nella finale del secondo giro che gli hanno permesso di passare il taglio onora il golf nazionale ma soprattutto è il miglior viatico per un giovane campione che ha deciso - laurea di Ingegneria in tasca - di fare del golf professionistico la sua vita. Auguri.


Se, come dicevo, l’Open Championship ha castigato tanti «grandi» ha per altro verso scoperto un probabile - oserei dire sicuro - futuro campione: Andres Romero, venticinquenne argentino che entrato nell’Open all’ultimo momento grazie al suo secondo posto nello Scottish Open della settimana precedente, ha giocato come un «grande», lui arrivato solo quest’anno sul tour maggiore dopo il tirocinio nel Challenge.

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