«Quando è arrivata la segnalazione su quei disegni la prima cosa che abbiamo pensato io e lo psicologo della scuola è stata: “Tuteliamo i bambini”. Ed è per questo che abbiamo chiesto che il tribunale dei minori intervenisse: per poter chiarire la vicenda e salvaguardare i due fratelli. Poi il can can mediatico, le dichiarazioni gridate, il coinvolgimento inspiegabile addirittura di membri della giunta comunale di Basiglio, hanno spostato l’attenzione solo ed esclusivamente sui disegni come causa dell’allontanamento dei figli dai genitori. Un castello di sabbia per coprire il vero problema: il racconto della bambina, a mio avviso, resta ancora il fatto più preoccupante. Senza contare le menzogne su di me: non ho mai istigato il bambino a dirmi cose che non voleva. Mai».
La seconda vita di Federica Micali, ex assistente sociale di 30 anni, comincia a circa 500 chilometri da Milano, in provincia di Roma, precisamente nella zona dei Castelli. Da quando è stata coinvolta nella vicenda dei fratellini dell’istituto omnicomprensivo di Basiglio, la giovane donna è sempre stata molto sostenuta dal compagno, da tutta la famiglia e difesa con tenacia dall’avvocato Lucia Lucentini. La Micali, infatti, è uno dei cinque imputati assolti il 21 luglio perché «il fatto non sussiste». Insieme alla preside della scuola, a due insegnanti e a uno psicologo, la donna fu coinvolta nella brutta vicenda del febbraio 2008. Quando, a causa di un disegno osé attribuito a una bimba di 9 anni, la piccola e il fratello maggiore vennero allontanati dai genitori per oltre due mesi. Il disegno raffigurava due bambini, un maschio e una femmina, in atteggiamenti molto equivoci e una scritta che alludeva al fatto che la piccola facesse giochi erotici con il fratello 13enne. Alcuni giorni dopo si venne a scoprire che il disegno non era opera della bimba (che, com’è emerso dall’inchiesta, pure aveva fatto un disegno e poi lo aveva distrutto e buttato, ndr) bensì di una sua compagna di classe. Che, però, avrebbe preso foglio e pennarello solamente dopo aver ascoltato il racconto della sua amichetta.
Signora Micali, all’epoca del fatto lei a Basiglio ci lavorava da un po’. E non aveva mai avuto problemi.
«Insieme allo psicologo della scuola lavoravo lì dal 2006 dopo che il Cbm (Centro per il bambino maltrattato) aveva vinto l’appalto con il comune di Basiglio. No, non avevo mai avuto prima nessun tipo di problema. E la vicenda mi travolse. I genitori dei ragazzini vennero difesi da buona parte della cittadina, si formò anche un comitato che mise in campo cortei, fiaccolate e proteste. Il nostro operato, quello istituzionale (la scuola, i servizi sociali e il Tribunale dei Minori da dove partì la decisione di affidare i bambini a due comunità protette) venne aspramente criticato. E contro di noi si scatenò il finimondo.
Lei di cosa fu accusata esattamente?
«Il ragazzino raccontò che, mentre era in comunità, io avrei tentato di estorcergli una confessione. Del tipo: “se tu mi dici la verità, e cioè che facevi sesso con tua sorella, torni a casa altrimenti rimarrai qui a lungo”. Una menzogna bella e buona. Che qualcuno ha cercato di enfatizzare anche rimaneggiando il diario che il 13enne teneva in comunità».
Il diario? Ci spieghi.
«Alla fine di ogni pagina già scritta dal ragazzo, sono state fatte delle aggiunte posteriori. Le hanno fatte scrivere a lui, al minore, ma è chiaro che le ha inserite dopo il suo soggiorno in comunità: la grafia, completamente differente, parla chiaro! Queste frasi “posteriori” sono tutte a piè di pagina, dove c’era l’unico spazio libero. E riguardano solo ed esclusivamente il mio operato in senso negativo. Nel testo scritto in comunità, infatti, il ragazzo non mi accusa mai.
Quindi rifarebbe tutto quel che ha fatto?
«Assolutamente sì».
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