Torgny Lindgren, un’«Acquavite» ad alta gradazione letteraria

Prima di tutto, non gli auguriamo di vincere il Nobel per la Letteratura. E ci permettiamo di non augurarglielo perché lui, per non vincerlo, una scusa buona ce l’ha da vent’anni. Cioè da quando entrò nella lista dei 18 componenti la Svenska Akademien, l’Accademia di Svezia che il Nobel per la Letteratura lo assegna ogni anno. Se non l’avesse, quella scusa buona, probabilmente sarebbe da un bel po’ fra i candidati fissi.
Lo svedese Torgny Lindgren, con quella faccia da entomologo incorniciata dalla barba bianca, è come la resina degli alberi (gli alberi dei boschi nordici del suo Västerbotten, cupi e angoscianti durante il lungo inverno, luminosi e accecanti nella breve estate): se lo tocchi, ti resta attaccato alle dita, una pagina dopo l’altra, e lascia intorno un profumo penetrante di pulito. Ogni suo libro è una trappola, il lettore-insetto vi resta appiccicato senza scampo e non può far altro che passare da un romanzo all’altro, anche perché le sue opere sono tutte sorelle, sode e ubertose come Anita Ekberg o enigmatiche e rapaci come Ingrid Thulin.
Per cominciare possiamo posarci sull’ultima uscita in Italia, Acquavite (Iperborea, pagg. 221, euro 16, traduzione della fedelissima e affidabilissima Carmen Giorgetti Cima), dove incontriamo l’ottantatreenne Olof Helmersson, ex pastore di Avaback dal ’47 al 55. Ex non per raggiunti limiti di età, ma perché convertitosi... all’ateismo, dopo che la moglie è defunta e il figlio è emigrato in Australia. Vuol respirare aria di casa, Olof, quindi dopo quasi mezzo secolo passato nel profondo Meridione, Stoccolma e dintorni, rispunta dalle sue parti (che poi sono anche quelle di Lindgren, nato a Norsjö il 16 giugno del ’38) a predicare il nuovo verbo. Non è più fiero di aver salvato 416 anime in 7 chiese, né di aver guarito tre ulcere gastriche e alcuni casi di arteriosclerosi con la sola imposizione delle mani, e vuol togliersi quel peso dallo stomaco e dalla coscienza. Ma quasi tutti i destinatari del suo nuovo credo hanno tirato le cuoia, e i sopravvissuti non hanno bisogno di controprediche: in loro i piccoli piaceri della vita terrena, monotona e piatta finché si vuole, ma pur sempre terrena, hanno preso il sopravvento sull’attesa della vita eterna che, proprio in quanto eterna, può aspettare. Da incorniciare la risposta di Eskil Holm: «Personalmente non credo. Ma mi manca il dubbio. A quei tempi non esistevano stramberie e sensazionalismi. Ma adesso abbiamo la televisione». Quando si dice la saggezza popolare... Da incorniciare anche la sequenza al cimitero, con una Spoon River in prosa piena di compassione e ironia.
Soltanto due donne sono rimaste immacolate come la neve, senza che il dubbio le sfiorasse: Gerda di Inreliden, alla quale il redivivo somministra sul letto di morte un sangue di cristo ad alta gradazione alcoolica, l’acquavite del titolo, e Marita Stenlund, figlia di Isabella e di un tale che poi sparì per andarsene. Chi sarà? Non importa, anche perché, riflette il Nostro, «a grandi linee tutti gli apostati sono credenti».
Credenti come il protagonista di Per non saper né leggere né scrivere (Iperborea, 2007) il quale, affetto da alessia, detta le proprie memorie a un registratore. La sua vita è tutta nella Bibbia illustrata da Gustave Doré, la abita, la venera e infine la ricopia a memoria, incisione per incisione, tratto per tratto.

Possiamo definirlo un falsario? E possiamo definire un falsario l’altro memorabile personaggio lindgreniano il quale, in Per amore della verità (Iperborea, 1997), fa della fantomatica «Madonna del pugnale», di Nils von Dardel, e dell’amichetta d’infanzia Paula, cooptata dallo star system della musica pop, le icone di un mondo in cui la menzogna vince sempre sulla sincerità? E, a proposito di sentimenti, è l’amore o l’odio a legare i due fratelli di Miele (Giano, 2002), che attendono la morte cullandosi nelle labili certezze delle loro malattie dividendosi poco fraternamente un’amica-badante?
Ecco perché occorre leggere Lindgren. Perché nei suoi libri tutto si tiene e nulla si distrugge. Quanto al Nobel, c’è sempre tempo, come per la vita eterna.

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