da Roma
Il Consiglio dei ministri vara il ddl per la ratifica del trattato di Lisbona (la mini-Costituzione della Ue a 27) ed ecco che scoppia un putiferio. Da un lato la Lega annuncia la sua volontà di ricorrere a referendum popolare, dallaltro i democratici insorgono contro le «velleità anti-europeiste» del Carroccio che metterebbero a rischio la credibilità internazionale dellItalia.
Cè solo da chiedersi quale dei due schieramenti abbia spinto più a fondo il pedale della strumentalità. E a stravincere è senza dubbio la sinistra, visto che è quantomeno strano che nessuno di loro - da Fassino alla Finocchiaro, passando per lUdc Cesa e il dipietrista Belisario - faccia cenno ad un limite invalicabile: limpossibilità del referendum. E infatti la nostra carta costituzionale, allarticolo 75, prevede «i referendum abrogativi totali o parziali di una legge o di atto avente valore di legge», ma esclude tassativamente questa possibilità per norme che riguardino leggi tributarie, amnistia e indulto e « autorizzazione a firmare trattati internazionali».
Insomma, il referendum contro la ratifica del trattato, in Italia non si può fare (diversamente da quel che prevedono le regole in Francia e in Olanda, dove la Carta del duo Giscard-Amato venne bocciata e dallIrlanda dove è anzi esplicitamente previsto e dove si vota fra due settimane, il 12 giugno). Un can can per nulla. Anche perché a bene vedere, non solo la Lega ha dato il suo sì in consiglio dei ministri al varo del disegno di legge che sarà avviato con celerità alle Camere; ma anche perché gli esponenti del Carroccio, pur tenendo a rimarcare le loro intenzioni, sono stati molto temperati nei toni. Calderoli, lasciando palazzo Chigi, ha rilevato che, pur «in presenza di notevoli miglioramenti al testo del trattato rispetto alla Convenzione, cè una perdita di sovranità notevole che preoccupa. Pensiamo che la consultazione popolare non possa essere evitata, e per questo proporremo in sede parlamentare una legge costituzionale ad hoc per consentire il referendum».
In sostanza Calderoli ipotizza che la Lega possa superare lo scoglio costituzionale, ma si evita di rilevare che per una modifica costituzionale servono una larghissima maggioranza e ben 4 letture e relativi voti nelle due Camere, il che significa andare alle calende greche. Che neanche il partito di Bossi ci creda molto a questa ipotesi, lo ha mostrato anche il presidente della commissione Esteri di Montecitorio, Stefani: «Certo il trattato di Lisbona è più morbido e meno vincolante del trattato Costituzionale. Detto questo valuteremo il provvedimento in Parlamento e aspettiamo di sentire cosa ci dirà il presidente della commissione Barroso al quale fisseremo una audizione alle commissioni congiunte di Camera e Senato».
Insomma, nessun ultimatum. Niente toni drastici o rifiuti secchi. Eppure a sinistra son fioriti commenti più che pepati. «Una follia grave!» per la Merloni (Pd), ministro ombra per i rapporti con la Ue. «Emergono le contraddizioni nel centrodestra!» per il dipietrista Belisario. Cesa, segretario Udc, punta un indice accusatore contro «la messa a repentaglio della nostra politica estera», mentre Fassino e Finocchiaro sparano contro «limbarazzo» del governo. Dal quale Frattini replica placido che il provvedimento è stato varato allunanimità e senza discussioni.
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