Roma - L’hanno detto e spiegato in tutti i modi: con i gol, con il gioco, con il talento e la determinazione. Mai una squadra è stata così tenace nel voler confermare le parole del suo allenatore. Cosa aveva detto Mancini alla vigilia della partita? «I campioni siamo noi». E questo è stato il ritornello che l’Inter ha cantato per tutta quell’ora e mezzo: spavalda, battagliera, convincente, vecchio stile. Pardon, stile annata scudetto. Non altro (leggi le pagelle della partita).
Grazie Roma, stavolta non lo canta uno stadio, ma solo una squadra. «I campioni siamo noi!» non è uno sfottò, solo una presa di coscienza. Ibra vince la sua sfida con Totti, Mancini stravince l’enigmistica della panchina davanti a Spalletti. Una volta realizzava con il tacco: genio e sregolatezza. Ieri ha segnato con la sua qualità di tecnico: studioso e capace del colpo a sorpresa. Bravo lui, che s’è inventato un centrocampo a cinque uomini, ed una sola punta, per contrastare la Roma dove sapeva di trovarla forte. Eccellente l’Inter, che ha chiesto a ciascuno il suo. La prima parata a Julio Cesar, determinante per incanalare la partita: Totti calcia la punizione, JC respinge, Mancini ci prova e lui fa scudo. Il gol da non sbagliare a Ibrahimovic. L’acrobazia da grande centravanti a Crespo. L’effetto killer di Cruz. La straordinaria vena difensiva di Samuel e perfino di Maxwell. L’indomito coraggio ai faticatori del centrocampo che non hanno mai mollato un metro agli avversari: Cesar e quella leggerezza che lo porta dovunque, Dacourt feroce fino all’alzare bandiera per un infortunio (problema inguinale), Cambiasso che sta ritrovando la brillantezza del suo motore. Schegge di quell’Inter che l’anno passato macinò tutti e che quest’anno potrebbe provare a ripetere l’impresa, se ritroverà un minimo di continuità nella salute dei suoi atleti: ieri Ibra e Dacourt si sono fatti incerottare, Burdisso non è nemmeno andato in panchina. Martedì, contro il Psv, Mancini dovrà tentare il recupero di Chivu e Vieira, non avendo altro per le mani.
Quattro gol per ristabilire le distanze con la concorrenza, per ritornare sola in testa alla classifica. Sembra il copione dell’anno passato, solo che la vittoria nerazzurra fu meno eclatante, anche se non è cambiato l’uomo della provvidenza: ieri come allora Hernan Crespo ha tirato fuori l’infallibile colt. E sono stati sogni. Stavolta con la magia di una prodezza. Cambiasso ha devastato la difesa e lui ci ha provato con l’acrobazia: semigirata al volo che, per qualunque amante del pallone, vale il prezzo del biglietto.
La Roma si rimetterà a studiare da grande, manca ancora qualcosa anche se non è facile giocare in dieci, per trequarti di partita, causa l’ingenuità devastante di un francesino di 31 anni, non proprio uno di primo pelo, giocatore internazionale che, vista la mal parata, si mette a prender palla con le mani davanti alla linea di porta. Idea da multa. Fino a quel momento l’Inter aveva fatto intendere di esser tosta e pronta al testa a testa sulla linea di centrocampo, neppure si trattasse di una mischia del rugby. Poi il guizzo di Maxwell, la fuga di Cesar determinata dagli errori in serie di Totti, Pizarro e Tonetto, hanno segnalato che la partita si stava incanalando nel segno delle ultime dieci sfide: spettacolo e colpi di scena. Cesar sbaglia il tiro, Doni respinge, Ibra prova di testa, Giuly devia di mano. Ibra segna il rigore, la Roma si fa più piccola. L’Inter non molla la presa sulla partita. I petardi scoppiano, i nervi della gente sulle tribune si fanno tesi. Figo si mangia un gol, l’Inter comincia a perdere i pezzi. Basta un niente, una distrazione di Maxwell, Cordoba e Zanetti per mandare Perrotta in gol. Ma la stella cometa della partita è solo per l’Inter. E, infatti, appena entrato, Cruz colpisce il palo. Poi Crespo fa il fenomeno. Cruz rispunta e risorge, calciando preciso quel pallone sul quale Doni dormirà e la Roma si spegnerà.
Fine di una sfida bella come sempre: il gol di testa di Cordoba è stato il malefico dito puntato del destino. Roma battuta e sul punto di essere umiliata. Ma, a quel punto, è intervenuto Mancini, quello vero (il romanista è stato solo fantasma), ha chiamato a sé Cambiasso e gli ha detto: «Basta così, ora teniamo la palla». E così è stato. Niente fazzoletti per Spalletti. Solo un atto di rispetto.
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