Totti: «Ronie è il numero uno, più forte di me»

da Roma

La chiamano già «fase cruciale». Per il Milan è lunga 12 (due di Champions più 10 di campionato) o 15 partite, nel caso di miracolosa conquista della finale di Coppa campioni. Comincia stasera con un interrogativo allarmante: è possibile dedicare le migliori energie a questo Roma-Milan che conta solo per Ancelotti e i suoi - se vogliono scalare posizioni - mentre le sfide dei quarti conteggiano già due esauriti consecutivi, uno a San Siro per martedì sera (67.500 tagliandi venduti, incasso di 2 milioni 424mila e 443 euro)? La risposta, scontata, passata da Ancelotti è la seguente: «È stimolante giocare contro una squadra forte, in un ambiente come l’Olimpico, il clima di Coppa campioni non influirà». Facciamo finta di credergli anche perché con i punti di ritardo che si ritrova a contabilizzare, non è proprio agevole perdere di vista la rincorsa al quarto posto. «Non dico che sarebbe una svolta epocale, ché il Milan con o senza Champions non finisce, ma sarebbe fondamentale centrare l’obiettivo della stagione» aggiunge il tecnico senza il codicillo che proprio in presenza di questi risultati possono cambiare i progetti di calciomercato oltre che il suo destino sulla panchina rossonera. Dettagli, viene da pensare.
D’accordo. Ma come si fa allora a non farsi distrarre dal Bayern («squadra di grande tradizione, anche se mancheranno Kahn e Van Bommel» il giudizio del milanista) e/o dal Manchester? Semplice. Basta puntare i riflettori su Totti sottratto alla Nazionale oppure sul presunto massacro di cui Donadoni sarebbe stato vittima, argomenti che Ancelotti maneggia con cura, tenendosi lontano dal terreno minato in un caso e rifilando solo una stoccata al suo sodale ct («hanno esagerato da tutte e due le parti, giornalisti e Roberto»). Oppure soffermandosi su un dato che è un po’ avvilente per il Milan. Mai piegata, nell’attuale stagione, la Roma: due sconfitte e un pari, striminzito in coppa Italia il fatturato rossonero. «È vietato dare loro campo, è una squadra dinamica» ricorda il tecnico rossonero teorizzando anche «una marcatura stretta» per Totti che è poi il terminale determinante del gran movimento ideato da Spalletti.
A parole, Roma-Milan non vuole altri pensieri eppure c’è una bella lista di assenti e di protagonisti risparmiati (da Jankulovski a Gattuso, sono sette in tutto, compreso Kalac), rimpiazzati da stagionati guerrieri non proprio di primo pelo, come Cafu e Favalli, mitigata invero dal ritorno di Nesta assente da una cifra (ultima esibizione conosciuta, Milan-Messina 1 a 0, sabato 25 novembre 2006, subentrato dalla panchina per rimpiazzare Bonera). «Lo abbiamo aspettato» chiosa Carletto e forse c’è un pizzico di rimpianto nel ritardo con cui lo staff sanitario glielo ha riconsegnato. Alla fine solo Ronaldo, sintonizzato in esclusiva sul campionato, può trascinare il Milan lontano dai pensieri tedeschi. Già, Ronaldo che torna all’Olimpico, lo stadio dei suoi tormenti e dei suoi momenti di estasi, dai gol alla Roma di Zeman fino alle lacrime caldissime del 5 maggio, con lo scudetto dell’Inter evaporato verso Udine (dove giocò la Juve). «Ronie è migliorato molto in queste due settimane, ha lavorato bene, e spero che possa giocare la prima partita in modo più continuo» è l’atto di fede pronunciato da Ancelotti, seguito a ruota dalla frase di Galliani il quale segnala che «tutti i test lo danno in grande crescita» e ricorda alla squadra che «questa è una sfida da vincere per tentare di raggiungere il quarto posto». Per questo motivo forse al fianco di Ronaldo spunta ancora Oliveira. Con 5 punte e 3 portieri nell’elenco dei 20 rossoneri convocati c’è poco da fare calcoli tattici.

«Abbiamo bisogno di tutti, non solo di Ronaldo» alla fine sostiene Ancelotti declinando una verità che resta scolpita sulla pietra. Il Milan di quest’anno ha bisogno più di santi protettori che di calciatori in grande forma. Anche se all’anagrafe si chiamano Ronaldo.

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