Traballa Merkozy, Berlino ora teme l’ondata anti euro

A Martin Kotthaus, oscuro portavoce del ministero delle Finanze tedesco, è toccata ieri la parte dell’ultimo giapponese, che continua a combattere quando la guerra è ormai persa. In Europa il sostegno alle politiche di austerità sta aumentando, ha dichiarato sicuro il prode funzionario.

Angela Merkel sa benissimo che è vero il contrario. E gli ultimi due giorni sono lì a dimostrarlo. Prima la vittoria di François Hollande, con una piattaforma elettorale che mette in discussione l’ortodossia rigorista «made in Berlin», poi l’intervista di Olivier Blanchard, capo economista del Fondo Monetario internazionale che sul Financial Times Deutschland non le ha mandate a dire alla Cancelliera: finchè non c’era il «fiscal compact» la Germania aveva anche ragione a dir di no agli eurobond. Adesso non ci sono più scuse: quindi, cara Angela, please, datti da fare. Infine, ieri pomeriggio le dimissioni di Mark Rutte, primo ministro olandese che in sette settimane non è riuscito a trovare un accordo con Geert Wilders, il leader della destra (e puntello esterno al governo), sui necessari tagli al bilancio. Il premier era da sempre a fianco della Merkel nell’invocare tagli e rigore, nonchè punizioni per i Paesi inadempienti. Solo che, urla oggi e urla domani, si è dimenticato di tenere d’occhio il suo di deficit, schizzato al 4,7% contro una soglia del 3.

Così in 48 ore o poco più Angela ha perso il suo fedele scudiero dei Paesi Bassi, ha visto allontanarsi probabilmente per sempre il fidato coéquipier parigino, ed è stata messa con le spalle al muro dalla principale istituzione economica internazionale. L’impostazione complessiva della sua politica salva euro è tornata in discussione.

Lei, naturalmente, non si è scomposta. Dopo aver ribadito il suo appoggio all’amico Nicolas, si è limitata a definire «preoccupante» il buon risultato della «populista» Marine Le Pen. Da buona politica tedesca, democristiana per di più, non avrebbe potuto fare altro. Uno dei principi base, quasi un riflesso condizionato, degli esponenti Cdu-Csu, è la scarsa tolleranza (nata per ovvi motivi storici) verso ogni movimento politico che cerchi spazio nell’area della destra non moderata. E del resto la Merkel si è trovata in buona compagnia: il presidente della Commissione Europea Barroso ha messo in guardia contro «la tentazione di argomentazioni populiste», mentre analoghi concetti hanno espresso tra gli altri i ministri degli esteri svedesi Karl Bildt e quello austriaco Michael Spindelegger.

Quanto alla sostanza della due giorni europea il commento più soddisfatto è arrivato dal presidente dei socialdemocratici tedeschi Sigmar Gabriel: «Presto assisteremo ad un allineamento della signora Merkel sulle posizioni di Hollande, altrimenti non avrà più un maggioranza in Europa». Dichiarazione interessata e forse un po’ troppo semplicistica, ma che inquadra bene il problema della Cancelliera. Con Hollande all’Eliseo dovrà ridiscutere tutte le decisioni prese a livello continentale per sfuggire alla crisi. Più o meno lo stesso dovrà fare nel caso a vincere fosse un Sarkozy indotto dalle durezze della campagna elettorale e spezzare i fili che lo legavano strettamente alla collega d’Oltre Reno. Per Angela tra l’altro si avvicina un appuntamento non del tutto tranquilizzante: le elezioni politiche del 2013. Per il suo partito i sondaggi sono buoni, ma la sostanziale sparizione degli alleati liberali rende possibile se non probabile la ripetizione di una «Grosse Koalition» tra Cdu-Csu e Spd. Con i socialisti dovrà quindi con ogni probabilità fare presto i conti. In casa e fuori. Ma gli uomini del suo entourage fanno capire di non temere affatto l’ondata socialista.

Finiti i comizi Hollande si adatterà presto alla dura realtà della politica europea, è il ragionamento. Forse per questo il Times di Londra ha già preso ad esercitarsi. Basta Merkozy, a guidare l’Europa sarà un nuovo duo: Merkande o Frangela.

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