Giulio Tremonti è inviperito. Ieri ha voluto incontrare alcuni giornalisti, convocati in fretta e furia nella foresteria milanese del ministero. Composto, educato, e colto nell’esprimersi, pur senza alcuna ostentazione, era comunque inviperito. Si capiva. Lo avevano mandato fuori dai gangheri tre cose. Prima le decisioni di Intesa e Unicredit, martedì, di non emettere i cosiddetti Tremonti bond. Poi alcuni titoli dei giornali di ieri che avevano presentato la cosa come una sconfitta del ministro. Infine il nome stesso, trasformatosi in boomerang politico: Tremonti bond. «Se potete non chiamarli così - dice il ministro - è meglio: sono obbligazioni governative, fatte anche da altri Stati europei». Sta di fatto che ieri Tremonti, chiusa la partita dei bond, ha deciso di alzare ancora il tiro: la mancata richiesta dei titoli obbligazionari «non è una questione di sgarbo a me o al governo, per il quale non emettere debito va anche meglio. Il problema è che quegli strumenti farebbero molto comodo alle imprese», perché varrebbero come moltiplicatore del credito, in un rapporto di 10 euro di impieghi per ogni euro di bond. E così si arriva alla stoccata più pesante: «Se le banche continuano a far soldi con la finanza, stanno solo preparando la prossima crisi». Il tutto mentre incombeva l’ombra di Giuseppe Pizzino, imprenditore siciliano di Brolo che, per ottenere da Unicredit di riattivare le linee di credito per la sua azienda di camicie, si è messo a fare lo sciopero della fame davanti alla sede del gruppo. «Non conosco il merito del problema di questo imprenditore - ha detto Tremonti - ma il fatto che da Messina sia dovuto venire a Milano la dice lunga sull’asimmetria del credito in Italia». Con Pizzino che diventa il testimone vivente di credit crunch e Banca del Sud nello stesso tempo. Crediamo che in questa come in tante altre storie di aziende in crisi, le ragioni della banca e quelle dell’impresa siano entrambe valide. Dipende dai punti di vista. Chi può negare che la prudenza nell’erogare i quattrini dei risparmiatori sotto forma di credito sia cosa buona e giusta? Peraltro sono state le stesse banche, in questi ultimi sei mesi, a varare iniziative espansive del credito. Si pensi a Impresa Italia di Unicredit, che ha messo a disposizione delle pmi un plafond straordinario a tassi agevolati. O agli accordi siglati da Intesa e Unicredit con Confcommercio e con tutte le associazioni di artigiani. Dopodiché, ancora ieri l’attento ufficio studi degli artigiani di Mestre denunciava la contrazione annuale dei prestiti bancari a breve e medio termine, rispettivamente del 2,1 e del 10,7%. L’ira del ministro non è dunque campata per aria. E non è un caso che il terreno individuato per tempo da Tremonti come il più fertile anche per misurare il consenso e la presenza governativa, cioè quello degli artigiani, dei padroncini, dei piccoli imprenditori del Nord come del Sud, sia stato successivamente invaso da tanti. Si pensi alle inchieste giornalistiche anche da parte dei maggiori quotidiani, controllati proprio da banche e grandi imprese. Tuttavia sarebbe limitativo fermarsi qui. Tremonti, a proposito della mancata emissione dei «suoi» bond, pone una questione di principio economico: gli aiuti governativi, richiesti dalle banche in difficoltà, una volta ottenuti, sono stati «traditi». Vale a dire che, pensati per dare ossigeno agli istituti, sono poi stati sfruttati dalle banche come garanzia incombente alla propria tenuta patrimoniale. Senza nemmeno il bisogno di emetterli. Senza indebitarsi, i banchieri (e il mercato) sapevano che i Tremonti bond erano lì, pronti a essere presi qualunque cosa fosse andata storta. Non è stato così, ma solo per caso. E una volta passata la bufera, i bond con il nome del ministro sono stati respinti con sufficienza. Ci sta che Tremonti sia seccato. Ma ormai è andata così.
Non resta che confidare in virtuosi comportamenti futuri, perché senza prendere i bond le grandi banche italiane si sono anche sottratte al codice etico che ne era parte integrante. E che avrebbe comportato una sorta di controllo da parte del Parlamento. Non ci sarà. Rimane solo il mercato. Con tutte le sue debolezze.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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