Troppe chiacchiere E Caterina inventò la legge anti-gossip

Sophia Augusta Fredericka di Anhalt-Zerbst aveva 14 anni al suo arrivo alla corte di San Pietroburgo. Nata in una famiglia della piccola nobiltà tedesca, era destinata in moglie all’erede al trono zarista, il granduca Pietro. La prospettiva non era allettante: di tre anni più vecchio di lei, Pietro era rachitico, debole di mente fino al limite della follia, con il viso sfigurato dal vaiolo. Sofia non parlava una parola di russo e contro di lei tramava l’uomo più potente della corte, il cancelliere Aleksei Bestuzev, timoroso che l’arrivo di una principessa tedesca condizionasse la politica degli zar a favore di Federico il Grande, sovrano di Prussia.
Eppure l’indifesa Sofia ci mise meno di 20 anni a farsi proclamare, con il nome di Caterina II, imperatrice di tutte le Russie. La sua personalità avrebbe occupato per i 34 anni del suo regno, dal 1762 al 1796, il proscenio della politica mondiale. E il suo influsso sulla storia russa è considerato pari a quello di Pietro il Grande. Quanto alle figure femminili del passato, l’unico paragone possibile è quello con Elisabetta I, prima artefice della potenza inglese sui mari. Con una differenza: mentre quest’ultima è passata alla tradizione come la «regina vergine», i costumi libertini e la lunga fila di amanti di Caterina hanno alimentato nei secoli una sorta di leggenda nera, nutrita di malevoli aneddoti sulla sua voracità sessuale.
Anche per questo, per il curioso intrecciarsi di storia diplomatica e vicende personali, l’ultima e più ambiziosa biografia di Caterina, appena uscita negli Stati Uniti, è diventata una specie di caso letterario. A dedicarle otto anni di ricerche è stato Robert K. Massie, probabilmente il più noto biografo dei sovrani russi. Il libro del suo esordio, Nicola e Alessandra, uscito più di trent’anni fa e dedicato agli ultimi Romanov, è un classico del genere, mentre con la biografia di Pietro il grande (pubblicata in Italia da Rizzoli) ha vinto il premio Pulitzer. Quanto al testo dedicato a Caterina (Catherine the Great, Random House) secondo il New York Times è la definitiva consacrazione di Massie, «storico con il talento del romanziere».
I capitoli più godibili sono quelli dedicati alla vita privata dell’imperatrice: dai rapporti con la madre anaffettiva, alle infelici nozze con il Granduca Pietro. Per cinque anni il matrimonio rimarrà non consumato per il disinteresse del nobile marito. Poi sarà la stessa zarina Elisabetta, zia di Pietro, in ansia per il mancato arrivo di un erede che consolidasse la dinastia, a buttare tra le braccia di Caterina il primo amante, il nobile Sergei Saltykov, che le darà subito un figlio. Da lì in poi la successione di favoriti sarà senza soluzione di continuità. Quelli ufficiali saranno una dozzina. E il carosello continuerà fino alla morte di Caterina, a 67 anni, quando l’imperatrice non disdegnava di scegliere accompagnatori poco più che ventenni.
Tra gli amanti, molti sono rimasti semplici comparse. Alcuni hanno segnato la vita dell’imperatrice e dell’Europa. A uno, il nobile polacco Stanislao Poniatowski, Caterina affiderà la corona del debole regno di Varsavia. Un altro, Gregory Orlov, giocherà un ruolo fondamentale nella defenestrazione del marito di Caterina, salito al trono con il nome di Pietro III, e rovesciato dopo sei mesi da un putsch guidato dalla moglie. Tra i favoriti il più importante, l’unico che Caterina abbia sposato (almeno secondo la ricostruzione di Massie, la cerimonia non è provata), fu il principe Gregory Potiomkin. Il loro fu un grande amore, fatto di affinità intellettuale e di intensa fascinazione erotica, testimoniato da un ricco epistolario. E quando i due amanti si separarono e la zarina riprese a farsi corteggiare dai giovani ufficiali della corte, rimase un affetto profondissimo e una saldissima partnership politica.
Fu il principe, raffinato uomo di cultura e abile uomo di Stato, a sconfiggere gli Ottomani, aprendo all’Impero russo le porte del Mar Nero. Fu lui a colonizzare la steppe del sud russo, fondando Sebastopoli e gettando le fondamenta di Odessa. A renderlo celebre furono anche i cosiddetti «villaggi Potiomkin», scene di cartapesta con finti contadini che venivano montate e smontate per mostrare la ricchezza e l’operosità della regione, mano a mano che la regina passava in rassegna, lungo il corso del Dniepr, i nuovi territori. Ma quest’ultimo, dice Massie, è un pettegolezzo infondato. Uno dei tanti di cui anche l’imperatrice è rimasta vittima, già in vita. E di cui cercò di liberarsi con una legge, rimasta unica nella storia, che proibiva il gossip di corte. Non sono smentibili, invece, i suoi molti meriti.

La modernità della concezione politica, elaborata grazie alle lunghe corrispondenze con i più famosi filosofi illuministi; il tentativo di rinnovare le sclerotizzate strutture statali russe; la passione per l’arte (fu lei a creare il primo nucleo dell’Ermitage) e per la scienza (tra le prime al mondo accettò di farsi vaccinare contro il vaiolo). Fu la grande Caterina, nonostante amanti e debolezze, a preparare e rendere possibile il fiorire del grande Ottocento russo.

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