Uccide la moglie malata di Alzheimer, il gup: «Atto d'amore non giustificabile»

Condannato a 9 anni e 4 mesi di reclusione un 86enne che per disperazione nel luglio scorso aveva soffocato la compagna. Il giudice: «È un caso doloroso dettato da una situzione insostenibile», ma non è ammissibile «ammazzare per eliminare i problemi »

«Non vi sono giustificazioni per il delitto commesso da parte dell'imputato (anche se intimamente sentito come un atto di amore)». Lo scrive il giudice per l'udienza preliminare Enrico Manzi nelle motivazioni della sentenza con cui ha condannato a 9 anni e 4 mesi di reclusione F. P., l'anziano che il 31 luglio scorso, oppresso dalla disperazione perché la moglie I. L. era malata di Alzheimer, l'ha uccisa, soffocandola con un cuscino nella loro casa a Legnano. «Si tratta di un caso doloroso di assoluta disperazione e dettato da una situazione insostenibile - scrive il gup - anche se va detto che l'imputato ha dato causa a questo stato di cose per effetto della scelta, umanamente comprensibile, ma non giustificabile, di non affidare la cura della moglie, gravemente malata di Alzheimer, a una struttura di cura e assistenza che ne avrebbe certamente alleviato le sofferenze». Il giorno in cui ha ucciso la moglie, 86enne come lui, l'anziano aveva tentato di togliersi la vita, prima tagliandosi le vene, poi infilandosi un sacchetto in testa, ma alla fine aveva desistito, dando l'allarme al figlio. Sul tavolo della sala da pranzo della loro casa a Legnano aveva lasciato un biglietto: «Chiudo la partita. Questa non è più vita. Chiediamo un ufficio funebre semplice e senza riferimenti alla vita terrena. Vi vogliamo bene». All'arrivo della polizia, aveva confessato subito, spiegando la sua disperazione. Ora il gup motiva la condanna, emessa lo scorso 23 febbraio con rito abbreviato, dunque con lo sconto di un terzo della pena prevista dal reato di omicidio volontario aggravato dal vincolo matrimoniale. «Non si capisce davvero perché sarebbe stato ingiustò un ricovero della moglie dopo 65 anni di convivenza - ragiona il gup, riportando le dichiarazioni dell'imputato -. La conseguenza di tale non scelta per l'imputato è stata la sua impossibilità a reggere il peso della cura e la conseguente decisione di uccidere e di uccidersi per eliminare i problemi. Queste valutazioni, oltre alla ovvia considerazione che non vi sono giustificazioni per il delitto commesso da parte dell'imputato (anche se intimamente sentito come un atto di amore), portano a ritenere del tutto giustificata la condanna».

Manzi ha concesso all'anziano, pure gravemente malato e che si trova agli arresti domiciliari in ospedale, le attenuanti generiche, «certamente prevalenti rispetto alla contestata aggravante, per il grave stato di disperazione in cui è maturato il delitto e per le finalità liberatorie che ne hanno sorretto la ideazione e la esecuzione». Secondo il gup, «il successivo tentativo, per fortuna vano, di suicidio, dimostra in modo limpido che la intenzione dell'imputato era quella di porre fine a una situazione di grave sofferenza propria e della moglie».

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