Cagliari - Nel day after del voto al Senato, mentre Mastella e Di Pietro ancora vanno minacciando la crisi nonostante una fiducia ottenuta sul filo di lana, Berlusconi sembra quasi voler glissare. Tanto che alla questione dedica un brevissimo passaggio, giusto qualche secondo per dire che «è stato uno spettacolo triste» e che «questo esecutivo non può continuare a governare» perché «è un danno per l’Italia» e «i sondaggi dicono che l’80 per cento del Paese non lo vuole». La «strada maestra», dunque, resta quella delle «elezioni». Poi, mentre nella solita ressa che lo segue s’incammina da piazza della Costituzione a Piazza Yenne, a chi gli chiede conto del voto di Cossiga che ha salvato Prodi in extremis risponde con un salomonico no comment: sorriso e mani eloquentemente alzate al cielo. Due volte. E pure sulla tempistica di una crisi che considera ormai inevitabile sceglie la via della cautela. Che ne pensa presidente, si avvicina l’ora «X»? «Guardi, io penso solo a godermi lo spettacolo...», replica prima di essere risucchiato dalla calca.
Nella sua tappa sarda, insomma, il Cavaliere preferisce non affondare troppi colpi sull’agonia del governo a Palazzo Madama. Forse per scaramanzia o probabilmente perché è convinto che sia solo una questione di tempo. Certamente per non mettere a repentaglio il dialogo con Veltroni sulla legge elettorale che continua a essere nei suoi pensieri. La conferma, sempre nella ressa di via Manno. «Non ci sono cambiamenti di rotta», dice, e il confronto con il leader del Pd «prosegue regolarmente». D’altra parte, è anche l’asse con Veltroni che gli ha permesso negli ultimi giorni di smarcarsi dagli alleati. Non solo «uscendo dall’angolo», dice un deputato azzurro di casa a Palazzo Grazioli, ma pure «archiviando il binomio Prodi-Berlusconi» e «proiettandosi verso un futuro Veltroni-Berlusconi».
E dalla scalinata del Bastione San Remì in piazza Castello, le critiche più dure le rivolge agli alleati. Con l’ormai consueto amarcord sui «dieci peccati capitali» che hanno portato la Cdl a perdere le elezioni. E tra questi «non ce n’è neanche uno che sia stato commesso da Forza Italia». An e Udc, dunque, ancora una volta nel mirino. Per la legge sul voto degli italiani all’estero, per la par condicio e via elencando. A fianco al Cavaliere, più di un parlamentare azzurro batte le mani. Dal responsabile per l’editoria Testoni a Cicu, da Valentini a Sanciu. Nei cinque anni di governo, insiste, «mi sono trovato a dover rinunciare a tanti progetti proprio per gli ostacoli frapposti dagli alleati». Con qualche esempio: la «separazione delle carriere dei magistrati» e i «privilegi delle cooperative rosse». Nella passeggiata per il centro di Cagliari, tra foto ricordo e strette di mano, con i cronisti sarà ben più netto: «Serve unità, alle elezioni dobbiamo andare tutti uniti. Ma gli alleati mantengono le loro posizioni di potere e i loro privilegi e fanno resistenze». Si sente isolato come dice Casini?, chiede un giornalista. «Isolato io? Ma la vede tutta questa gente», replica il Cavaliere guardandosi intorno. Poi, l’affondo: «Perché ho lanciato il Pdl? Perché ho istintivamente accolto l’invito della gente che mi chiedeva di mandare al diavolo gli alleati...». Tutti, tranne la Lega. Tanto che ieri alla riunione dei sindaci leghisti in via Bellerio con Bossi si è presentato come ambasciatore l’azzurro Brancher. «Mi vuoi far bere la medicina dell’unità...», scherza il Senatùr. «Certo che sì...», la replica divertita dell’ex sottosegretario alle Riforme.
Finisce così, con Berlusconi che sale sul «pullman delle libertà» e si raccomanda: non chiamatelo «partito» perché «sa di vecchia politica». Il suo nome, decretato «dal 63 per cento dei voti nei gazebi» è «Popolo della libertà». Se vorranno, «gli alleati potranno unirsi».
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