Forse anche grazie alle - svogliate - celebrazioni del centenario dalla fine della Grande guerra, con un ritardo - inspiegabile - di quasi ottant'anni, esce finalmente anche in Italia Tra parentesi (Oscar Mondadori, pagg. 230, euro 13, a cura di Fabio Pedone), l'opera principale di uno dei più grandi poeti modernisti, David Jones, finora pressoché sconosciuto nel nostro Paese all'infuori di una stretta cerchia di studiosi e/o appassionati di poesia. Tra i pochi, ne scrisse Roberto Sanesi, dedicandogli un capitolo di La valle della visione, dove sottolinea il ruolo essenziale del Mito nella sua produzione poetica e, più recentemente, lo cita appropriatamente Giorgio Agamben, nella introduzione agli scritti scelti di Ezra Pound, evidenziando la inevitabile incompletezza di un'opera che, al pari di quella di Eliot e Pound, «è un'immane accozzaglia di frammenti, e il poeta non può che rimestarne e nuovamente accumularne i detriti...», vista l'insanabile cesura con la tradizione che caratterizza il mondo contemporaneo.
David Jones (1895-1974) nacque nel Kent, da padre gallese e madre londinese di lontana ascendenza italiana. È il sangue paterno a consolidarne le radici, ma è il caso a segnarne il destino, quando, all'età di cinque anni, rimane affascinato da quello che sarà il suo primo ricordo: uno scintillante plotone dei City Imperial Volunteers che cavalca, al suono di trombe e fanfare, per invitare al reclutamento nella guerra contro i Boeri. Una straordinaria visione che lo incanta e che lo convince immediatamente: «Un giorno anch'io monterò così a cavallo». Non passeranno vent'anni che sarà esaudito e conoscerà, nel fango delle trincee, l'orrore del conflitto moderno e la bellezza del cameratismo, senza mai rinunciare all'idea che l'uomo, nella guerra, possa e debba mettersi in gioco per conoscere se stesso e soprattutto confrontarsi fino in fondo con l'altro.
Poeta epico, ma anche raffinato pittore e apprezzato incisore, David Jones è il prototipo dell'artista che non mira al successo, sia esso fama o ricchezza, ma si dedica con impegno, vista la sua maggiore sensibilità, ad essere «la voce della tribù»: il bardo che entra in comunicazione con il divino e il profeta che comunica al suo popolo la volontà divina.
Come scrive nell'introduzione alla sua altra grande opera, The Anathemata, che speriamo di vedere presto tradotta in italiano, Jones non vuole né «edificare» né persuadere, bensì «svelare», ovvero portare alla luce ciò che già esiste ma necessita di essere visto e apprezzato. Ecco, allora, il suo insistere sulla realtà del mito e sulla bellezza del simbolo, senza cedere alla tentazione di diventare un mistico o un visionario, ma restando sempre solidamente attaccato alla storia, fedele osservatore dei fatti e appassionato testimone della verità.
Cattolico romano per scelta, gallese per sangue, artista per vocazione, David Jones sente, soprattutto, la responsabilità di essere principalmente e profondamente europeo, ovvero testimone di una tradizione che affonda le sue radici nella civiltà, prima romana e poi cristiana, destinata a portare a compimento quello che tutte le altre tradizioni avevano solo parzialmente intuito e rivelato. La Bibbia, i miti arturiani, la mitologia celtica, insieme al Tramonto dell'Occidente di Spengler e alla ballata dell'Ancient Mariner di Coleridge, forniscono a David Jones gli strumenti per reagire - o almeno tentare di sopravvivere - alla crisi epocale della modernità, che ci coinvolge tutti, e dalla quale non siamo affatto usciti.
All'inizio del Novecento la cultura occidentale è diventata, e non solo in senso metaforico, una vera e propria «terra desolata» e ridotta in macerie, che impone al poeta il compito, quasi impossibile, di ricostruirne i modelli recuperandone i frammenti. Nel passato, la condivisione di un modello religioso, sociale, filosofico e poetico ispirava e orientava l'Occidente in una comunione di valori che al volgere del nuovo secolo entra definitivamente in crisi. La fisica demolisce la certezze spazio-temporali che da millenni rassicuravano l'umanità; la religione affronta, insieme alla filosofia, la morte di Dio; la musica dodecafonica annulla le armonie sonore; l'arte astratta enfatizza la «perdita del centro»; il monologo interiore disarticola la prosa letteraria; e, soprattutto, la tecnologia scatena sul continente europeo quelle spaventose tempeste d'acciaio che segnano la vera, drammatica e mai rimarginata cesura con il mondo precedente: la Prima guerra mondiale.
Da qui prende avvio l'ispirazione poetica di David Jones, la cui opera è una delle più vivide testimonianze sulla Grande guerra, esperienza vissuta dall'autore appunto in Tra parentesi, resoconto dei primi sette mesi passati nelle trincee e culminati nell'assalto al bosco di Mametz durante la Battaglia della Somme.
Senza indulgere a piagnistei pacifisti né, d'altro canto, cedere a retoriche belliciste, David Jones racconta da poeta, quindi attribuendo a ogni parola scritta il massimo significato possibile, gli indicibili orrori, ma anche la terribile bellezza dell'esperienza del cameratismo nelle trincee, dove ciascuno è costretto a rinunciare a ogni alibi per essere veramente e solamente se stesso. Non c'è odio per il nemico, a cui, tra l'altro è anche dedicato il libro: «Ai combattenti delle prime linee di parte nemica che condivisero le nostre sofferenze e contro cui ci trovammo a opporci per disgrazia».
L'esperienza bellica lascia il segno sul soldato Jones, che sarà vittima, nel 1932, di un grave esaurimento nervoso che a fasi alterne lo accompagnerà per il resto della sua esistenza, facendolo soffrire come uomo, ma rendendolo più sensibile come poeta attento alla realtà ultima delle cose. Tutti i suoi libri, insieme ai suoi quadri e alle sue incisioni, dai poemi già citati ai saggi raccolti in Epoch and Artist, fino ai postumi The Roman Quarry e The Kensington Mass, sono stati efficacemente definiti «arte sacramentale», testimonianze lontanissime dall'arte profana che caratterizza il nostro tempo.
Come mai, allora, ci sono voluti tutti questi anni perché anche in Italia ci si accorgesse, finalmente, di David Jones? Probabilmente non è estraneo a questo lungo silenzio anche il fatto che, come nel caso di Eliot e soprattutto quello di Pound - ma potremmo aggiungere i nomi di Yeats, di D.H.Lawrence, di Robinson Jeffers e molti altri - l'autore di In Parenthesis ebbe manifeste simpatie fasciste che, al solito, vengono negate o ignorate. A distanza di quasi cento anni dalla nascita del Fascismo, e a più di settanta dalla sua tragica fine, sarebbe il caso di smetterla con le demonizzazioni a priori, per fare definitivamente i conti con un periodo che appartiene a pieno titolo tanto alla storia italiana quanto alla cultura europea.
Le «intelligenze scomode», come le chiamava Giano Accame, sono molto più numerose di quanto comunemente si immagini e, nonostante la dittatura del «politicamente corretto», non possiamo più ignorarle né rimuovere la loro scomodità.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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