«Valentino pensa a shopping e hotel»

Il numero uno Norsa: «Il settore alberghiero ci può interessare, aspettiamo proposte»

Marcello Zacché

nostro inviato a Tokio

Valentino pensa agli alberghi, valuterà acquisizioni e vuole crescere in Asia. Ed è venuto a dirlo direttamente a Tokio, negli incontri con gli investitori organizzati dalla Borsa Italiana.
«La quota di fatturato asiatico di Valentino era del 16%, è salita al 22%, ma vorrei portarla al 25%», dice Michele Norsa, amministratore delegato di Valentino Fashion Group. Gli Usa dovranno andare al 25 (oggi 27%), l’Italia dal 26 al 20 e il resto d’Europa al 30 per cento.
Per Valentino Fg è stata una prima volta assoluta: sono passati sei mesi dalla scissione del gruppo Marzotto che ha dotato di vita borsistica propria la società che controlla, oltre appunto a Valentino (settore lusso del gruppo), anche Hugo Boss e Marlboro Classics.
«Un’operazione che ci ha dato grande visibilità e possibilità di dialogo con gli investitori prima impensabili: se fossimo ancora Marzotto, nome troppo legato al tessile (che pure rappresentava solo il 15% dei ricavi), a questo incontro non sarebbe venuto nessuno».
Intanto il titolo che vola in Borsa è Marzotto...
«Ma è per la contendibilità: anche se gli azionisti sono gli stessi, Marzotto capitalizza quasi un decimo di noi».
Che cosa farà Valentino in Asia?
«Il 2 dicembre apre a Tokio (a Ginza) il 25° negozio Valentino in Giappone. Prima toccherà a San Pietroburgo poi a New Delhi. E stiamo guardando a Hong Kong, Jakarta, Taiwan».
Giappone e mercati emergenti?
«Il Giappone resta importante per il lusso perché è il mercato dove facciamo i margini più alti. Rafforzare la presenza a est è opportuno perché lì avviene la selezione dei marchi, anche se poi i nuovi ricchi vanno a fare i loro acquisiti a Londra o New York».
Per il marchio Valentino avete mai pensato di diversificare negli alberghi, come Bulgari?
«Ci stiamo pensando e in effetti si adatterebbe molto al nostro stile. Ma solo fornendo la licenza. Valutiamo proposte».
Valentino resterà nell’alta moda?
«È un settore che volevo chiudere, ma invece continua ad avere una sua funzione. È un modo di essere unici come in questo campo lo siamo solo noi, Dior e Chanel».
Da Hugo Boss all’alta moda: qual è la strategia complessiva?
«Siamo gli unici attori del settore presenti in più di 100 mercati con prodotti che vanno dalle t-shirt da 30 dollari ai capi da 500mila: l’idea è quella di crescere stabilmente, senza avere gli alti e bassi tipici della moda».
La crescita comporta anche acquisizioni?
«Le opportunità ci sarebbero anche perché oggi ci sono più venditori che compratori. Faremo le nostre valutazioni. Ma non prima di un anno.

Prima dobbiamo terminare il percorso di risanamento di Valentino che due anni fa perdeva 44 milioni e ha chiuso il primo semestre con 0,6 milioni di utile».
Crede che una fusione con Hugo Boss possa essere finanziariamente utile?
«Avrebbe una sua logica, ma attualmente ci sono troppe problematiche e dobbiamo terminare il lavoro che stiamo facendo».

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