Vampiri, mummie e altri diversamente vivi

da Torino

Zombi, vampiri, mummie, fantasmi affollano, in effigie, il Museo del cinema nella Mole Antonelliana. Ci resteranno fino al 9 gennaio per la mostra di fotografie, manifesti, ecc. intitolata «Diversamente vivi». Con Alberto Barbera, che dirige il Museo, osservo che «diversamente morti» sarebbe meglio. «Sì, ma porta male!», replica lui. Si può capirlo: con Lione e Praga, Torino è uno dei vertici del triangolo della magia bianca: e, con Londra e San Francisco, Torino è uno dei vertici del triangolo della magia nera... Il catalogo della mostra è curato da Giulia Carluccio e Peppino Ortoleva (Il Castoro). Essi si oppongono allo spettatore qualunque e qualunquista, schierato per i vivi, nella loro lotta per restarlo normalmente, non diversamente. Sotto l’abominio, la Carluccio e Ortoleva vedono piuttosto il desiderio. Una morta vivente, smaniosa di mordere, eccita il necrofilo più che una morta e basta, nella sua rigidità cadaverica. E poi, in tempi di Aids, il vampiro - per il quale ogni sangue è miele - è la sintesi perfetta di Eros e Thanatos.
Ci sono varianti anche più problematiche. Avere intimità con una mummia è infatti speranza di pochi, anche quando si abita a Torino, col suo Museo egizio. E come possedere un fantasma, o esserne posseduti, senza essere il personaggio di Gloria Guida nella Casa stregata di Bruno Corbucci, film non contemplato nella mostra?
Proprio presso Torino, fra prima e seconda guerra mondiale, il caso dello «smemorato di Collegno» è un esempio di come un fantasma possa trovare un corpo di rimpiazzo, almeno a parere della vedova. Il caso diventa prima boccaccesco, poi giudiziario. Lo portano sullo schermo Totò prima, Ben Gazzara poi. Infine Leonardo Sciascia ne fa un libro dei suoi più belli... Sempre fra letteratura e cinema, percorrendo le belle le vie di Pavia, si ripensa a quando, in Fantasma d’amore di Dino Risi, tratto dal romanzo di Mino Milani, Marcello Mastroianni insegue l’ombra di Romy Schneider.
Più inconsapevolmente necrofile delle vecchie, le giovani generazioni hanno un riferimento recente. In The Others di Alejandro Amenábar, una vedova presunta (Nicole Kidman) riabbraccia il marito. Lui è pallido, ma è comprensibile, visto che è stato ferito. Sentiamo i due amarsi. Finito l’amplesso, però, lo specchio riflette solo un corpo: quello di lei. Prevale invece il lato politico nel caso degli zombi, vero movimento di massa con vastissime possibilità di infoltirsi. Solo gli zombi, il nuovo proletariato, possono condurre ancora la lotta di classe. Infatti chi è normalmente - non diversamente - vivo, non difende più il proprio lavoro, tanto teme di... perderlo. Anche la rivoluzione degli zombi comincia nel 1968. Marx e Lenin, sebbene molto citati in quel periodo, sono un ricordo. E anche Fanon e il «Che». E dove meno ci si aspetta un loro continuatore, nel cinema americano post-maccartista, si impone George A. Romero. La rivoluzione nella rivoluzione - ci dice - la faranno i veri dannati della terra: gli zombi di tutto il mondo, uniti.
A Romero, del resto, La notte dei morti viventi è stata ispirata da un effetto collaterale del baby boom postbellico. Per ridurre le tensioni in una popolazione come quella degli Stati Uniti, che negli anni Sessanta è per un quarto sotto i venticinque anni, si è rilanciato il colonialismo in versione Guerra fredda. Fra milioni di coscritti, si fa circolare la droga, con autorevoli connivenze, come racconta un recente film hollywoodiano, dove l’eroina viaggia nei sacchi di plastica, bare provvisorie per i caduti. S’intitola American Gangster ed è di Ridley Scott, già regista di un film di altri diversamente vivi ignorati in quest’occasione, i replicanti: Blade Runner.
Dagli anni Sessanta, dunque, l’eroinomane non è più solo l’intellettuale dalla vena esaurita, il debosciato all’ultimo stadio o il ferito con dolori atroci. Ormai «si fanno» l’immigrato di ultima generazione, la prostituta d’alto bordo, lo studente di basso conio... Andatura dondolante, sguardo fisso, gesti meccanici degli zombi risalgono alla dipendenza dalla polvere bianca, che per Romero è analoga alla dipendenza dalla carne umana.

I film di Romero e i derivati - come Zombi 2 e Zombi 3 di Lucio Fulci (dvd CG) - incassano grazie a un pubblico d’impronta sessantottarda che si diverte a veder uccidere i diversamente vivi. Non stupisce che, invecchiando, il pacifista si comporti come chi è stato morso dallo zombi: morendo per il contagio, va poi a ingrossare le file degli zombi. Gratta il buonista: troverai l’interventista umanitario.

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