Agosto 1961: a Berlino sorge il Muro, a Milano I sogni muoiono all’alba. Scritto da Indro Montanelli, da lui co-diretto con Mario Craveri e Enrico Gras, il film racconta l’insurrezione ungherese dell’ottobre-novembre 1956, alla quale Montanelli aveva assistito come inviato del Corriere della Sera.
Agosto 2009. Restaurato dalla Cineteca nazionale diretta da Sergio Toffetti, I sogni muoiono all’alba sarà alla Mostra di Venezia nella rassegna «Questi fantasmi 2»: occasione per esaminare un film di idee concepito a destra e da destra contestato, perché la tesi di Montanelli era che l’insurrezione ungherese non fosse anticomunista, ma antiburocratica.
Un dettaglio? Ma per esso la collaborazione di Montanelli (con lo pseudonimo «Antonio Siberia») al Borghese di Leo Longanesi era finita proprio nel novembre 1956. E anche l’amicizia con Longanesi, che morirà nel settembre 1957, senza essersi riconciliato con Montanelli. Neanche Montanelli si riconciliò col cinema dopo I sogni muoiono all’alba, perché i colleghi critici - per i trascorsi fascisti, nel dopoguerra Montanelli era stato relegato alla critica cinematografica - lo stroncarono. Ma anche il pubblico s’annoiò, perché il dramma ungherese, che la Rai-Tv aveva ampiamente mostrato anche nei combattimenti strada per strada, è ridotto dal film a un dibattito fra inviati italiani (Gianni Santuccio, Mario Feliciani, Ivo Garrani, Aroldo Tieri, Renzo Montagnani) che si svolge in due stanze d’albergo di Budapest fra il 3 e il 4 novembre 1956, la notte della repressione sovietica. Più che ideologie antagoniste, essi incarnano tipi antagonisti: sotto i grandi principi affiorano le piccole miserie.
Ai comunisti il film non piacque per principio: era opera di un anticomunista. Agli anticomunisti il film non piacque perché era complesso, come sono le idee, e non semplice come sono le convinzioni... Quanto ai casi personali degli inviati, essi lasciarono freddi tutti quelli che inviati non erano. Nelle allusioni a veri giornalisti tutti subito concordarono che Tieri fosse Alberto Jacoviello, dell’Unità. In Feliciani si scorse un decano degli inviati, Enrico Emanuelli; Santuccio parve riunire caratteristiche di vari giornalisti d’epoca fascista; Montagnani era l’anarchico pre-sessantottardo. Ma, soprattutto, in ognuno di loro (non solo in Santuccio, che era stato amico di Osvaldo Valenti) c’era qualcosa o parecchio di Montanelli; in Renzo Montagnani, al suo esordio, si prefigurava il sessantottardo, più anarchico che comunista.
Lea Massari, l’insorta ungherese del film per la cui interpretazione ebbe il David di Donatello, ne ricorda la lavorazione come «un periodo delizioso», benché lei avesse opinioni politiche diverse da quelle di Montanelli. «Lui mi chiamava “la comunista”; io lo chiamavo “il fascista”, anche se i termini non corrispondevano alla realtà. Con Indro ci siamo voluti bene. Mi ha scritto fino alla fine, anche se ci siamo visti poco: io stavo a Roma e lui a Milano, io ero sposata e indaffarata e lui anche... Era elegante, non sofisticato, colto senza farlo pesare. Era il tipo di persona che piaceva ad Angelo Rizzoli, che credo abbia prodotto il nostro film: da analfabeta, Rizzoli si circondava di persone che sapessero scrivere».
La serenità del set fu turbata da un incidente. Racconta la Massari: «Indro aveva un cane, chiamato Gomulka, come il segretario del Pc polacco andato al potere proprio nel 1956 in fama di liberale. Nella pausa di pranzo andavamo insieme in bicicletta nei dintorni di Cinecittà. Indro aveva al guinzaglio Gomulka, che si spaventò per il passaggio di un’auto, facendo cadere Indro, che si ruppe una gamba. Dopo un solo giorno lui tornò a dirigere il film da un lettino ortopedico».
Nei dizionari del cinema I sogni muoiono all’alba è però presente soprattutto per il nome del regista. La carriera cinematografica di Montanelli è stata del resto sottovalutata. S’era aperta sceneggiando Tombolo, paradiso nero di Giorgio Ferroni (1947). Pochi lo rammentano? Ma il film ispirò Federico Fellini nello sceneggiare Senza pietà di Alberto Lattuada. E si sa: non c’è ammiratore come chi ti copia... E se si cita sempre Fellini per aver vinto il Festival di Cannes del 1960 con La dolce vita, sarebbe da tener presente anche che prima Il generale Della Rovere di Roberto Rossellini, scritto da Indro Montanelli, aveva vinto la Mostra di Venezia.
Mancarono gli incassi? A Montanelli autore sì, a Montanelli personaggio no.
Nel 1965 uno dei maggiori successi italiani (e allora un successo italiano nel cinema era un successo vero) fu il film dove Walter Chiari era, sotto altro nome, Montanelli: Io, io, io e gli altri. «Che fosse Indro, Blasetti - che l’aveva scritto e diretto - lo diceva apertamente». Amico e collaboratore di entrambi, fra cinema e giornalismo, Gualtiero Jacopetti se lo ricorda ancora. E me lo dice apertamente.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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