Ventimiglia, la legge della giungla nelle strade

Orrore a Ventimiglia, ucciso a calci e pugni un uomo di 53 anni che era interventuo per sedare una rissa. Lo hanno massacrato un gruppo di romeni ubriachi

Ventimiglia, la legge della giungla nelle strade

Non esiste, non si possono accet­tare morti così. Ce ne stanno in­fliggendo sempre di più, a un rit­mo esponenziale che mette i bri­vidi, ma nemmeno la coscienza più sonnolenta può rassegnarsi a considerarla abitudine. Certo la tendenza che si respira nell’aria è subire questa ferocia spicciola più o meno come depreca­bile effetto collaterale dei tempi d’oggi,così segnati da nuove proble­matiche, quali la promiscuità tra et­nie, il disagio giovanile, l’affolla­mento demografico (siamo 60 mi­lioni, media 200 abitanti per chilo­metro quadrato, 6 volte la media eu­ropea: ci diamo un limite o conti­nuiamo a oltranza?). Ma sì, guardiamo l’America: in certi sobborghi di certe città i ragaz­zini ammazzano e si ammazzano per le questioni più stupide.Sull’on­da di questo fatalismo sociologico, c’è chi pensa che semplicemente l’Italia paghi l’inevitabile prezzo di tutti i Paesi moderni, dove il benes­sere e la libertà concedono praterie invitanti alle pulsioni più bestiali. È singolare: questa edificante visione attribuisce a libertà e benessere gli stessi meccanismi che da sempre si riconoscono alla legge della giun­gla, come se il progresso umano non corresse in avanti, ma inconsa­pev­olmente si piegasse a un percor­so circolare, tornando malinconica­mente al punto di partenza. Rifiutiamoci di crederlo. Non possiamo accettare sia così. Non può essere che nei tempi e nei luo­ghi di maggiore civiltà si finisca nuovamente per impaludarci nei crudi rapporti di forza e nelle gerar­chie della violenza. È un fatto che tanta brava gente, ormai, abbia il terrore anche solo di passare sul marciapiede conquistato da certi ceffi tagliagola. È un fatto che le sag­ge madri sempre più spesso inviti­no figli e consorti a non reagire mai, nemmeno con semplici paro­le, alle prepotenze e alle provoca­zioni di certa gentaglia. È entrato nel nostro lessico quotidiano un nuovo modo di esprimerci: a testa bassa, scantonando, voltandoci dall’altra parte, comunque suben­do in silenzio. Perché purtroppo ha preso piede una certezza atomi­ca: al giorno d’oggi basta niente per morire. La statistica conferma: basta nien­te per essere presi a calci e a ginoc­chiate, basta niente per subire una coltellata. Si sta facendo strada l’idea che i conti vadano regolati personalmente e velocemente, se basta a mani nude, all’occorrenza con le armi. Orgoglio, prepotenza, vendetta: tutto ci gioca. E la violen­za è accettata come germe annidato nell’organismo stesso della civiltà, senza anticorpi capaci di debellar­lo. Qualcosa di sinistramente, dia­bolicamente fisiologico. Eppure non esiste, nemmeno in quest’atmosfera plumbea da peren­ne arancia meccanica, che un pa­dre di famiglia venga giustiziato per strada.E c’entra poco che gli assassi­ni siano romeni: le nostre baby o se­nior gang non hanno nulla da invi­diare alla crudeltà di quelle importa­te. Non possiamo perderci in questi dettagli da talk-show, finendo per non comprendere più la sostanza. Che resta una: anche se l’abbiamo banalizzata e routinizzata con mas­sicce dosi di narcosi virtuale, trami­te video e videogioco, la morte resta la morte. Un evento grave ed ecce­zionale, umanamente insopporta­bile. E così dovrebbe sempre esse­re. Il suo peso e il suo valore non pos­sono svalutarsi tanto miseramente, neppure alla borsa più sgangherata dei cervelli più collassati.

Non c’è «perdita di valori» - la diagnosi che più ci piace scomodare - che possa in qualche modo giustificare la fol­lia dei nostri marciapiedi. Se comin­ciamo a considerarla in qualche mo­do normale, spiacevole però inevi­tabile, perdiamo tutto. Non è la leg­ge della giungla che torna, è la legge del vuoto che avanza.

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