Verso una guerra tra Procure

MilanoLa versione ufficiale è affidata a poche, asettiche righe. «Con riferimento a notizie di stampa in ordine a indagine pendente presso la Procura di Napoli, si comunica che non vi è stata alcuna trasmissione di documenti tra i due uffici, non vi è stata e non è prevista alcuna attività di indagine comune». L’aria che si respira nei corridoi del palazzaccio milanese, però, è un’altra. Fastidio e irritazione. Per i tempi e i contenuti di un’inchiesta che porta acqua al mulino sbagliato. E che - vista dal capoluogo lombardo - sembra il classico bastone tra le ruote.
Le novità che arrivano - meglio, che escono - dagli ambienti investigativi partenopei aprono un fronte polemico tra le toghe. Formalmente, i magistrati milanesi si limitano a chiamarsi fuori e a non commentare il lavoro dei colleghi campani. Ma il giudizio sul loro operato è tutt’altro che positivo. Sia nel merito che nel metodo. Primo, il fascicolo napoletano appare ancora in fase embrionale, a differenza di quello milanese che sostanzialmente è giunto a conclusione. Secondo, nessun atto che potesse rendere pubblica quell’inchiesta - eccezion fatta per la perquisizione a casa della showgirl Sara Tommasi, avvenuta soltanto ieri - era ancora stato disposto, eppure sui giornali è stata pubblicata in maniera pressoché integrale l’informativa della Squadra mobile, con tanto di sms al presidente del Consiglio (senza risposta), e al ministro La Russa (che risponde picche), e che racconta una storiaccia di droga e prostituzione. Una sorta di doppione dell’indagine milanese, ma molto più rabberciata. Ora - è il ragionamento dei magistrati lombardi - non poteva esserci momento peggiore perché simili notizie finissero sulle prime pagine dei giornali. Perché se il premier lancia l’allarme sull’Italia commissariata dalle Procure, quella imbastita dalle toghe napoletane diventa una clamorosa sponda. E basta poco - una testimonianza farlocca, una denuncia infondata, una circostanza inverosimile inclusa negli atti - per mandare tutto in vacca. È il timore dell’emulazione. E cioè che sull’onda lunga (mediatica, oltre che giudiziaria) dell’inchiesta milanese, altri uffici cerchino visibilità scandagliando piste più o meno strampalate, esponendo il lavoro fin qui svolto dal pool di Bruti Liberati alla critica del «così fan tutti (i giudici)». Il rischio, in poche parole, è un’equazione ampiamente diffusa in parte del Paese e del mondo politico, e che a Milano intendono scongiurare: se tutti i pm sono contro Berlusconi, allora c’è una congiura delle toghe contro il presidente del Consiglio.
«Diffidate dalle imitazioni», è il succo della reazione avuta dal poker Bruti-Boccassini-Forno-Sangermano di fronte alle notizie che arrivano da Napoli. E in realtà, non è solo una questione di primogenitura. L’inchiesta figlia dei pm milanesi, infatti, potrebbe davvero essere danneggiata da quella partenopea. Ancora una volta Bruti professa tranquillità. «Non accadrà mai», dice. Però è chiaro che se il gip Cristina Di Censo dovesse respingere la richiesta di giudizio immediato per il premier e rinviare gli atti ai pm per ulteriori indagini, questi rischierebbero di vedersi costretti a prendere in considerazione gli elementi investigativi che - in modo caotico, frammentario e talvolta contraddittorio - stanno emergendo dal capoluogo campano.

Allungando ulteriormente i tempi di un’indagine che davano ormai per conclusa. Trovandosi a gestire materiale su cui non hanno mai puntato. E seguendo piste alle quali - appare piuttosto chiaro, anche se questo non verrà mai scritto in nessun comunicato ufficiale - non sembrano credere affatto.

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