Viaggio in via Sarpi: "Tibet? Che cos’è?"

Non stanno dalla parte dei "ribelli" di Lhasa. Per quelli di Paolo Sarpi, la Repubblica popolare cinese non sbaglia mai. E poi, a loro, del Tibet poco importa: prima c’è da reprimere, pardon boicottare la Ztl

Non stanno dalla parte dei «ribelli» di Lhasa. Per quelli di Paolo Sarpi, la Repubblica popolare cinese non sbaglia mai. E poi, a loro, del Tibet poco importa: prima c’è da reprimere, pardon boicottare la Ztl imposta da Palazzo Marino. Sì, il loro problema è la zona a traffico limitato che il Comune farebbe partire tra qualche mese, con in aggiunta tanto di isola pedonale.

E i tibetani repressi dal regime di Pechino? Sun Sin alza le spalle, «sicuri che la colpa sia tutta dei cinesi? È un errore pensarlo e, soprattutto, scriverlo: in Cina si vive già bene e con le Olimpiadi la qualità della vita non può che migliorare». Per il commerciante di cianfrusaglie old China non c’è alcun problema, «il Tibet è parte inalienabile della Cina, sta scritto anche nei libri di geografia». Fede nella grande Cina di un sessantenne che nemmeno le immagini del genocidio riescono a far crollare. E che, attenzione, è certezza pure tra i giovani di Associna, l’associazione che raccoglie le seconde generazioni: «Chiunque è contro la Cina è nel giusto. Sempre nel giusto» annota Wong, «tutto quello che fa la Cina è contro i diritti umani. Grave che gli occidentali non abbiano neppure un dubbio su quello che vedono». Virgolettato da brividi, modello Guardie Bianche di Pechino. Che, senza sorpresa, è replicato anche sulle colonne del China Daily venduto nei bar e nei negozi della Chinatown ambrosiana: zero critiche alla repressione delle violenze in Tibet, neanche una didascalia di condanna all’azione del governo popolare di Pechino.

L’argomento clou del quotidiano è la Ztl voluta dalla giunta Moratti. Due paginate, una parola d’ordine: «Boicottiamo la Ztl». Che Angelo Ou declina così: «L’amministrazione comunale ci ha azzoppato. Avevamo lavorato con attenzione e intelligenza al progetto di trasferimento dei grossisti cinesi al Gratosoglio. Qualcuno ha voluto alzare un ostacolo». Vabbè, e la tragedia del Tibet? «Abbiamo espresso amarezza per quello che il consiglio comunale ha deciso e che non depone per la continuità serena del progetto di delocalizzazione».

Chiaro, la forza dei monaci che ignorano l’ultimatum della polizia cinese non importa a Chinatown. Nel quartiere cinese è impresa impossibile trovare qualche cittadino con gli occhi a mandorla dalla parte del Tibet. Solo gli italiani di Paolo Sarpi sostengono la protesta di Lasha e dalle finestre spuntano vessilli tibetani. Drappi che danno fastidio: «Chi li espone non conosce la storia», «reclamano un’indipendenza del Tibet che nemmeno il Dalai Lama vuole», «chiedono di boicottare le Olimpiadi che è questione irrealizzabile».

Lezioncine di Chinatown, dove il commercio non si ferma un istante. Loro, i cinesi, gli affari li sanno fare.Enon li preoccupa chi, da Palazzo Marino, propone persino di boicottare le vendite nel nome del Tibet libero. A loro interessa solo evitare una Ztl di troppo.

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