«Volevo aprire un supermercato mi trovai nell’inchiesta su Binnu»

Il presidente del Palermo progettava un investimento a Cinisi. Ma il suo nome finì tra i fiancheggiatori del boss. Per i giudici fu un errore

«Volevo aprire un supermercato mi trovai nell’inchiesta su Binnu»

nostro inviato a Palermo

Veder accostato il proprio nome a quello del capo di Cosa Nostra non è cosa da poco. Al presidente del Palermo-Calcio è toccata questa disgrazia, ma presto ha ricevuto anche il giusto riconoscimento d'innocenza dalla magistratura. Prima di rilevare la società rosanero, infatti, l'imprenditore friulano Maurizio Zamparini, da presidente della squadra del Venezia, era sbarcato in Sicilia con l'intenzione di fare del business. Purtroppo per lui era finito a trattare la possibile costruzione di un ipermercato nel posto più controllato dell'isola: a Cinisi, cuore della vecchia mafia, paese del film I Cento Passi, del boss Badalamenti, della signora Provenzano.
Storia surreale, presidente. Lei e Provenzano, che effetto fa?
«Brutto. Quando lessi il mio nome nell'inchiesta sui presunti fiancheggiatori del boss ci rimasi di sasso perché, glielo giuro, non sapevo praticamente niente della mafia. Pensi che al mio amico procuratore Grasso, una volta allo stadio, gli dissi per scherzo: “La Sicilia e i siciliani sono meravigliosi, secondo me la mafia ve la siete inventata voi, e questo Provenzano, poi, nemmeno esiste”. Grasso sorrise e mi rispose: “Magari fosse come dice lei, quanto a Provenzano vedrà che prima o poi lo prendiamo”. E così è stato. Sono contento».
Come ci è finito nell'inchiesta?
«Perché chiesi all'allora portiere del Venezia, Taibi, che è di Cinisi, se conosceva qualcuno vicino a Palermo perché ero intenzionato a fare degli investimenti. Così lui mi presentò un suo parente, credo il padrino del battesimo, un consigliere comunale. Andai una sola volta a Cinisi, furono gentili e mai ebbi a che fare coi mafiosi. C'erano stati solo dei problemi con delle autorizzazioni, cose banali».
Non le chiesero una percentuale sull'appalto, oppure di far lavorare determinate società?
«Ma stiamo scherzando? No!».
C'erano delle intercettazioni in corso, cercavano Provenzano...
«Ma io ero lì per caso, ripeto, per fare investimenti che poi ho bissato in altre zone della Sicilia, tra Catania e Siracusa. Neanche qui, mai, ho avuto richieste estorsive».
Il pm poi ha chiesto, e ottenuto, l'archiviazione. Come è riuscito a convincerlo?
«Dimostrando la mia assoluta buona fede, la correttezza del gruppo, l'estraneità a contatti con pregiudicati. Il magistrato, giovane e onesto, ha capito come stavano effettivamente le cose.

Ma quel che mi ha fatto star male sono stati certi articoli per i quali presentai inutilmente delle querele. Nelle cause per diffamazione il giudice ha sentenziato che i cronisti avevano esercitato un legittimo diritto di cronaca. Sarà pure così, non discuto, ma io mi chiedo se sia normale dare del mafioso a un galantuomo».

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