Welfare, il dopo Maroni tormenta sindacati e Confindustria

Gli imprenditori ora temono che si modifichi la legge Biagi

Antonio Signorini

da Roma

Di nomi non ne fanno, anche perché nessuno ha voglia di bruciare il candidato dei desideri, ma anche perché sindacati e Confindustria sanno benissimo che a decidere il prossimo ministro del Welfare non saranno loro. Qua e là emergono però degli identikit del successore di Roberto Maroni e qualche volta, dietro a caratteristiche professionali e umane, non è difficile scorgere candidati in carne e ossa. La prima discriminante è quella tra il politico e il tecnico. Tra i sindacati la lancetta indica prevalentemente la prima opzione. La Cgil, in primo luogo, vorrebbe che all’ex ministero del Welfare (che probabilmente verrà diviso in due) vada un politico di peso. Uno, insomma, che sappia tenere a bada le parti sociali dopo anni di divisioni profonde, e riesca a imporre una decisione quando partiti e organizzazioni sociali cominceranno ad accapigliarsi sulle modifiche alla legge Biagi. Sulla stessa linea la Uil. Un tecnico, secondo la valutazione prevalente nel sindacato guidato da Luigi Angeletti, non va bene. Un po’ diversa la posizione della Cisl. Politico o tecnico per il sindacato cattolico è indifferente, l’importante è che si tratti di qualcuno che sappia mettere d’accordo il sindacato e le imprese. E, quindi, che non sia sgradito a nessuno dei due poli della rappresentanza sociale. Ma la Cisl non sembra gradire un politico troppo forte, uno, insomma, che imponga le sue scelte alle parti sociali. Di tecnici puri in corsa non ce ne sono. Ma la richiesta di un politico forte limita la scelta ad esponenti Ds o della Margherita. Se Pierluigi Bersani non fosse già impegnato al ministero dell’Industria, sembrerebbe il candidato della Cgil. Ma, secondo la stessa logica, si può dedurre che, se fosse stato disponibile, un ministro così pesante non sarebbe piaciuto troppo alla Cisl. Gli orientamenti del sindacato di Raffaele Bonanni e della Uil non escluderebbero nessuno dei principali candidati in corsa dei due principali partiti della coalizione: Enrico Letta, Rosi Bindi e Cesare Damiano.
La necessaria equidistanza tra le parti esclude invece un candidato di Rifondazione comunista, come il responsabile lavoro Paolo Ferrero. D’altro canto un ministro del Prc non supererebbe il veto di Confindustria. La confederazione degli industriali negli ultimi giorni, per effetto delle pressioni delle piccole imprese, ha rafforzato la sua opposizione a cancellazioni o riscritture della legge Biagi. Per viale dell’Astronomia, quindi, tanto più moderato sarà il ministro, tanto meglio sarà. Una posizione che potrebbe aprire la strada a un esponente della Margherita come Letta. Ma anche a Damiano, responsabile lavoro dei Ds che, per molti aspetti, è meno radicale della Bindi.

La Bindi potrebbe invece piacere all’Ugl, il sindacato vicino alla destra guidato da Renata Polverini, che propende per un politico di peso e che non vedrebbe male al Welfare una donna. Un identikit che non esclude nemmeno Linda Lanzillotta, altra esponente Dl su posizioni più moderate rispetto all’ex ministro della Sanità.

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