Wikileaks, i cablogrammi sul Vaticano

I cablogrammi intercettati e diffusi da Wikileaks continuano a far discutere. Questa volta si tratta di messaggi inviati dall'ambasciata Usa sul Vaticano. Nel mirino ci sarebbe il cardinal Tarcisio Bertone, accusato di esserre uno yes man

A chi gli faceva notare come la diplomazia vaticana fosse la migliore al mondo, il cardinale Domenico Tardini, diplomatico di lungo corso e Segretario di Stato di Giovanni XXIII, rispondeva: «La nostra migliore? Figuramose le altre…». Queste parole andrebbero scolpite sulla pietra dopo la lettura dei primi cablogrammi riservati resi noti nelle ultime ore da Wikileaks (li ha pubblicati El Pais) e riguardanti le comunicazioni dell’Ambasciata Usa presso la Santa Sede, dalle quali non emergono - almeno fino a questo momento – rivelazioni clamorose, quanto piuttosto critiche alla gestione della Segreteria di Stato e della comunicazione vaticana. La numero due della sede diplomatica, Julieta Valls Noyes, il 20 febbraio 2009 (non sfugga la data: subito dopo la bufera per il caso Williamson, il vescovo lefebvriano negazionista al quale era stata revocata la scomunica senza che Benedetto XVI fosse stato informato delle sue dichirazioni sulle camere a gas naziste), scrive: «nel Vaticano, il Papa è il responsabile ultimo di tutte le decisioni importanti», ma lui stesso è solito delegare compiti a «qulli che più sanno o che sono meglio informati in ogni materia particolare» e qui entra in gioco una «Curia italo-centrica» e «obsoleta» che comunica con note «scritte in un linguaggio in un codice che nessuno fuori di loro è capace di decifrare». «L’ambasciatore di Israele ha ricevuto un comunicato che secondo la Curia vaticana conteneva un messaggio positivo per Israele ma l’ambasciatore non è riuscito a captarlo da quanto nascosto era, nonostante sapeva che fosse lì». Il Vaticano è una «no spin city» (gioco di parole che trasforma la «no sin city», la città senza peccato, nella «città che non comunica») e conclude che la Curia ignora «le comunicazioni del secolo XXI». Principale contatto dell’Ambasciata nella Curia appare essere l’informatore «protetto», monsignor Paul Tighe, numero due del Pontificio consiglio delle comunicazioni sociali (dunque un prelato non direttamente coinvolto negli affari di governo della Segreteria di Stato), il quale che suggerisce di far introdurre degli anglofoni nella cerchia degli amici più intimi del Papa, che sarebbe composta soltanto di italiani. Nei cablogrammi della signora Valls ci sono critiche per il Segretario di Stato Tarcisio Bertone, definito come uno notorio «yes man» (se si riferisce al fatto che dice sempre di sì al Papa, può considerarsi un vero complimento) e che è al digiuno di ogni esperienza diplomatica: «parla solo italiano, per esempio».

A dire il vero Bertone parla francese e spagnolo, ma l’Ambasciata Usa evidentemente non gli perdona soprattutto di non parlare inglese. «Bertone – continua la numero due dell’Ambasciata – ha uno stile personale pastorale che lo porta spesso fuori Roma, a occuparsi di problemi spirituali invece che della politica estera e del governo». Anche qui non si vede quale sia la novità o il segreto diplomatico: Bertone non proviene dalla carriera della diplomazia pontificia, e questo era ben noto a Benedetto XVI nel momento in cui l’ha scelto come suo «primo ministro». Viaggia spesso inItalia e all’estero. Ma mai in incognito e ogni sua mossa è registrata dalla stampa. «Non sono poche le voci – si legge ancora nel cablogramma – che chiedono la destituzione del cardinale Bertone dal suo attuale incarico». E anche qui, si tratta del segreto di Pulcinella, dato che più di un giornale ha parlato di queste richieste, giunte anche da parte di illustri porporati ratzingeriani, che il Papa ha però considerato irricevibili, decidendo invece di rinnovare la fiducia a Bertone quando questi, un anno fa, ha compiuto 75 anni. I files pubblicati da Wikileaks rendono anche note le critiche rivolte dall’Ambasciata Usa a padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede, che «ha il Blackberry ma non l’accesso al Papa». È un’anomalia, comunica la diplomatica al Dipartimento di Stato americano, «in una cultura nella quale molti dei dirigenti più importanti non usano nemmeno l’email». Il portavoce, si fa notare, «non fa parte del circolo degli intimi del Papa e non ha alcuna influenza sulle principali decisioni, non dà forma ai messaggi, solo si limita a trasmetterli».

Anche qui, nulla di nuovo: non è un mistero che Lombardi trasmetta ciò che gli viene ordinato dalla Segreteria di Stato, come lui stesso ebbe ad ammettere in un’intervista pubblicata qualche mese fa sul sito Web della BBC. E anche la recentissima vicenda dell’anticipazione su L’Osservatore Romano di un brano della risposta del Papa sul preservativo e la lotta all’Aids, pubblicata proprio il giorno del concistoro, è avvenuta a sua insaputa. «Il poveruomo è oberato di lavoro – si legge ancora in un cablogramma dedicato a padre Lombardi – perché è simultaneamente capo della Radio Vaticana e del Centro Televisivo Vaticano, e corre letteralmente da un ufficio all’altro durante tutto il giorno». Si tratta di «un lavoro duro nei giorni buoni, ma nei giorni di crisi è estenuante». Non propriamente notizie da segreto di Stato, dato che si tratta di informazioni così riservate da risultare nell’Annuario Pontificio: piuttosto si può rilevare come alla fonte diplomatica Usa manchino informazioni sul quarto incarico svolto da Lombardi, che oltre a fare tutto ciò che fa, è anche assistente del padre generale nella Curia dei gesuiti. Dopo la crisi per la revoca della scomunica ai lefebvriani, la numero due dell’ambasciata Usa presso la Santa Sede comunica a Washington: «Il Vaticano è un alleato formidabile che necessita di lezioni nelle pubbliche relazioni». «Il Papa a volte irrita politici e giornalisti facendo ciò che pensa sia meglio per la Chiesa, come riaccogliere i lefebvriani o considerare la canonizzazione di Pio XII». Che il Papa faccia ciò che pensa sia meglio per la Chiesa infischiandosene di politici e di noi giornalisti mi sembra tutto sommato un buon segno, anzi, potrebbe perfino bastare per un «santo subito»… Non mancano anche comunicazioni con qualche valenza politica in più, come l’interessante cablogramma risalente al 2001, nel quale si rivela che il Vaticano ha fatto presente con tutta franchezza al governo di George Bush che la «dittatura laica di Saddam Hussein», sarebbe sempre più favorevole alla libertà religiosa e per i 600mila cristiani irakeni (oggi purtroppo sensibilmente diminuiti di numero), «di qualsiasi soluzione che una «guerra ingiusta» potrebbe portare, inclusa quella di una «dittatura islamista».

Col senno di poi, e senza alcuna simpatia per il dittatore Saddam, guardando alla tragica situazione dell’Irak e ai disastri provocati dalla guerra che ha trasformato il Paese nella sentina di tutti i terrorismi, mettendo proprio i cristiani nel mirino, come dare torto alla franchezza della diplomazia vaticana? Che dire? Beh, innanzitutto che la frase del cardinale Tardini appare sempre più vera. Ma non solo nel realismo e nella bonarietà con cui sminuiva la potenza e l’importanza della diplomazia vaticana, in questo mostrando un realismo e un’auto-ironia che andrebbe recuperata da più di qualcuno nei sacri palazzi. Appare più vera, in questi giorni di full-immersion nei file di Wikileaks, soprattutto per quella straordinaria chiusa: «figuramose le altre», figuriamoci le altre. Appunto, figuramose! A uscire a pezzi dai cablogrammi, infatti, non è tanto la diplomazia vaticana quanto piuttosto quella degli Stati Uniti. Che ha fallito clamorosamente, dato che questi documenti sono potuti diventare pubblici, mentre non risultano a tutt’oggi analoghe pubblicazioni delle comunicazioni riservate tra la Santa Sede e i nunzi apostolici in giro per il mondo, a dimostrazione che forse qualche volta un linguaggio un po’ criptico e opportunamente cifrato ottiene il suo scopo. Per il resto, in attesa di altre «rivelazioni», non si può fare a meno di notare che questi giudizi, prima di finire nei rapporti diplomatici dell’Ambasciata americana, potevano essere letti nei giornali e nei blog di tutto il mondo. Altri documenti riguardano il rapporto con gli anglicani (li ha resi noti il Guardian).

Dopo un colloquio con l’ambasciatore inglese presso la Santa Sede Francis Campbell, l’Ambasciata Usa spiega che la decisione di Benedetto XVI di accogliere con la struttura canonica degli Ordinariati vescovi, preti e fedeli anglicani che volevano farsi cattolici, ha messo il primate anglicano Rowan Williams in «una situazione impossibile» e le relazioni tra Vaticano e anglicani si trovano nella peggiore crisi degli ultimi 150 anni. Al punto che la decisione papale potrebbe provocare «violenze contro i cattolici».

A dire il vero, dal viaggio di Benedetto XVI in Gran Bretagna, si è avuta un’impressione completamente diversa… Infine nei cablogrammi resi pubblici da Wikileaks si afferma che il Vaticano ha rifiutato il permesso ad alcuni suoi «funzionari» di testimoniare di fronte alla commissione di indagine irlandese sugli abusi sessuali sui minori da parte di sacerdoti. E si dice che il Papa è stato responsabile della resistenza del Vaticano all’ingresso della Turchia in Europa.

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