Paolo Scotti
da Roma
«Montalbano? Quello sì, che era un gran bel personaggio!». Si noti bene: era. Non è. Dal modo in cui ne parla, sembra che per Luca Zingaretti il commissario sia morto. Forse perché per lui, in qualche modo, già lo è. «Per rammentare che tutte le belle cose durano poco, un detto orientale insegna: Se un arcobaleno durasse unora nessuno lo guarderebbe più. Inoltre, come ripete il mio maestro Andrea Camilleri: Entrare in scena è difficile. Ma è saperne uscire, che è ancora peggio».
Non coglierà troppo alla sprovvista gli ammiratori, dunque, la notizia che, per la primavera del 2006, a uscire di scena sarà proprio il beniamino letterario dinnumerevoli fan televisivi. Luca Zingaretti ha deciso: non interpreterà più il commissario Montalbano. Quello con Giro di boa e Par condicio - due nuovi film tv, in onda su Raiuno il 22 e il 29 settembre - sarà il penultimo appuntamento; infine verso marzo, a conclusione delle riprese iniziate in ottobre, andranno in onda gli ulteriori e definitivi due titoli. Senza appello, senza ripensamenti. «Io non vorrei lasciare questo personaggio. Montalbano è lideale per qualsiasi attore, al punto che qualsiasi attore potrebbe interpretarlo con successo - si schernisce Zingaretti -. Ma ogni cosa ha la sua parabola. E io devo avere il coraggio dinterrompere questa, proprio ora che è al suo vertice». Non si tratterebbe insomma di noia per il ruolo, legittima per quanto improvvida («questo personaggio mi diverte sempre moltissimo») né della paura, diffusa ma a volte convenzionale, di restarvi intrappolato («Montalbano io lo farei ancora per anni»). E anche tante proteste dumiltà, suonano più come riconoscenza al ruolo che come senso di saturazione nei suoi confronti: «Dico che qualunque attore saprebbe interpretarlo, perché nemmeno un attore mediocre sarebbe capace di rovinare un personaggio così bello, così ben scritto. Ma è proprio per non comprometterne il ricordo, che ho deciso di abbandonarlo».
Ieri, in una Rai in cui, alla presenza del presidente Petruccioli e del direttore generale Meocci, si brindava agli ottantanni di Andrea Camilleri (prima che autore del «caso» editoriale degli ultimi anni, già delegato alla produzione, produttore, attore e regista in viale Mazzini) era tempo di bilanci per tutti. Compreso il festeggiato. «Molti mi chiedono quando mi deciderò a far morire Montalbano - almanaccava Camilleri, fra il sornione e il compiaciuto -. Ma gli eroi letterari non muoiono mai. Quindi credo che lo lascerò per sempre comè. Senza ucciderlo, senza farlo sposare, senza nemmeno mandarlo in pensione». Loccasione forniva al festeggiato anche lopportunità di ricordare «quando la tv era vista con ostilità dagli intellettuali, che ancor oggi la considerano una forma culturale di serie B». Nonché il travagliato ingresso in viale Mazzini; «Allinizio osteggiato dallamministratore delegato Guala, che mi riteneva troppo comunista. E poi favorito dal presidente Bernabei, che invece era democristiano».
Girato, oltre che nei set abituali di Ragusa, Siracusa e San Vito Lo Capo, anche in luoghi singolari come le grotte delle Latomie o le cave di marmo a Customaci, il primo dei «film delladdio», Giro di boa, è tratto dallomonimo romanzo e promette, «come per i precedenti, di rispettare alla virgola atmosfere e personaggi dei libri - assicura il regista di tutta la serie, Alberto Sironi -. Dopo 10 anni di Montalbano, infatti, resto più che mai convinto che proprio atmosfere e personaggi siano stati il segreto del suo successo. E su questi ho puntato fin dallinizio; fin da quando Camilleri, saputo che sarei stato io il regista, sbottò: Ma proprio uno di Milano, doveva essere?».
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