Nei guai un altro giudice che condannò il Cav

Dopo il caso Esposito, nel mirino il giudice D'Isa e i problemi giudiziari del figlio indagato

Nei guai un altro giudice che condannò il Cav

Roma - Certo che i giudici della Cassazione che hanno condannato Silvio Berlusconi non sono proprio al di sopra di ogni sospetto. Anzi, sembrano un gruppetto proprio ben assortito. Almeno due membri del collegio che ha scritto la parola fine sul processo per frode fiscale nei confronti dell'ex presidente del Consiglio sono quanto meno chiacchierati.
Dopo Antonio Esposito - il presidente della sezione che ha condannato Berlusconi, ormai celebre per la sua intervista in cui anticipava a mezzo stampa le motivazioni della decisione e anche per l'affaire mai del tutto chiarito dell'istituto di formazione Ispi - un altro giudice si trova nella scomoda posizione di dover rendere conto di alcuni suoi comportamenti. Si tratta di Claudio D'Isa, 65 anni di Piano di Sorrento. Nella camera di consiglio che lo scorso agosto ha confermato la sentenza d'appello del processo per i diritti Tv, c'era anche lui. Da qualche giorno D'Isa non sta dormendo sonni tranquilli, finito com'è al centro di una campagna stampa partita dal quotidiano Libero per i suoi rapporti con i Terenzio, una famiglia laziale piuttosto conosciuta ai magistrati per una serie di vicissitudini giudiziarie - tra truffe, evasioni fiscali, bancarotte e presunti legami con la criminalità - che gli è costata un sequestro di beni per circa 150 milioni di euro.
Ora un'altra tegola si è abbattuta sul giudice per qualche telefonata imbarazzante intercettata nell'ambito di un'inchiesta per usura della Procura di Torre Annunziata nella quale è indagato il figlio di D'Isa, Dario, un avvocato di 38 anni che sta dando qualche grattacapo all'illustre genitore. Di quest'ultima vicenda ha parlato ieri il Fatto. Un altro schiaffo per la toga che aveva già faticato a togliersi d'impaccio per l'altra vicenda. D'Isa senior non è indagato, ma una serie di telefonate con il figlio in cui parla di denaro, assegni e versamenti, sono finite all'attenzione dei magistrati. Questo perché i pm non hanno potuto fare a meno di collegarle ad altre conversazioni tra Dario D'Isa e il ristoratore Vincenzo Donnarumma. I due sono stati intercettati mentre discutono di una causa pendente in Cassazione e di 7mila euro che sarebbero stati consegnati al figlio del giudice affinché se ne interessasse. Gli inquirenti sospettano, insomma, che a Dario D'Isa possa essere stato chiesto di intercedere presso il padre per la vicenda giudiziaria, anche se non è escluso che il giovane avvocato possa aver speso il nome del genitore senza che lui ne sapesse nulla. Da altre intercettazioni, comunque, sembrerebbe proprio che la toga si sia data da fare per aiutare il figlio, se non altro sollecitando le motivazioni delle sentenze di primo e secondo grado e prospettando controlli in cancelleria. Un interessamento che se pure ci fosse stato non avrebbe dato l'esito sperato, tanto che dopo la conferma da parte della Cassazione della sentenza in questione Donnarumma avrebbe chiesto la restituzione del denaro.
Sempre D'Isa jr avrebbe fatto da trait d'union tra il padre e alcuni membri della discussa famiglia Terenzio, che per i pm sarebbero soggetti vicini alla camorra. Questo nonostante l'accusa di concorso esterno in associazione di stampo mafioso sia poi caduta e dopo l'assoluzione sia ancora pendente il ricorso del pg. Libero ha scoperto, documentandolo con delle fotografie, che il rapporto tra i D'Isa e i Terenzio, inizialmente di natura professionale, si sarebbe presto trasformato in amicizia.

Una frequentazione tutt'altro che sporadica, insomma, smentita però dal giudice. Il quale ha subito preso le distanze raccontando di aver evitato ogni contatto con i Terenzio dopo aver saputo dei loro problemi giudiziari.

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