I demoni (o forse i lari e i penati, ognuno assiso nel proprio cantone) della scrittura di Friedrich Dürrenmatt (1921-1990) sono il Caso e il Potere. Il Caso abita soprattutto nei suoi romanzi canonicamente detti gialli o polizieschi, ma che sarebbe meglio definire, a dispetto dei vocabolari, colpevoleschi. È vero che anche lì serpeggia il Potere, causa ed effetto della Giustizia, ma il Potere prende dimora in modo più esplicito, dittatoriale, nel dramma teatrale, sebbene con tinte farsesche, La visita della vecchia signora, del 1956, ed è un Potere economico, ricattatorio e/o salvifico che arriva a dettare un omicidio. Un anno prima, nel romanzo Greco cerca greca (proposto ora da Adelphi, pagg. 141, euro 16, traduzione di Margherita Belardetti) Dürrenmatt si era dedicato al Potere in entrambe le sue forme, l'economica e la politica. Tuttavia, anche qui troviamo una porzione di Caso, chiamato astutamente in causa proprio dal Potere.
Per apprezzare al meglio tale commistione, tale convergenza di interessi, occorre presentare in anticipo un personaggio. È «Fahrcks, il comunista che aveva ordito il colpo di stato a San Salvador e la rivoluzione nel Borneo». Viene citato già nel primo capitolo, ma l'ambientazione del libro non ha nulla di esotico. Siamo nella Svizzera dell'autore, seppure un cicinin distopica, presentata con un filo di trucco che non ne altera i connotati, anzi. Per la precisione, come apprendiamo dall'entrata in scena del principale (e, all'atto pratico, teorico) nemico di Fahrcks, il «presidente della Repubblica», siamo a Berna. E l'intera confederazione è dunque minacciata da una congrega di filosovietici.
Ma passiamo al vero protagonista. Arnolph Archilochos ha lontanissime origini greche, è un ometto insignificante che non beve, non fuma e non ha mai toccato una donna. Lavora come «sottocontabile di un sottocontabile» alle officine meccaniche Petit-Paysan S.p.A. che fabbricano mitragliatrici, carrarmati e cannoni atomici ma anche, per pulirsi un po' la coscienza, forcipi. Proprio al reparto forcipi Arnolph è l'ultima ruota del carrozzone, una fantozziana merdaccia. Vive in una pidocchiosa mansarda e frequenta un localaccio gestito dall'alcolizzata Georgette Bieler e da suo marito Auguste, patito di ciclismo. Impietosita dalla tetraggine di Arnolph, Georgette lo sprona: a lei serve una moglie, caro mio. L'altro prima nicchia, ma poi mette un annuncio sul giornale: «Greco cerca greca», appunto. Incredibile ma vero, due giorni dopo arriva la risposta: «Una piccola busta profumata, un cartoncino azzurro come il cielo del Peloponneso. Chloé Saloniki gli scriveva di essere sola: quando poteva incontrarlo?».
Acceleriamo appena appena, come il trenino del Bernina: la bellissima Chloé fa la donna di servizio dai Weeman, marito e moglie inglesi, archeologi che sono stati attivi proprio in Grecia. Altro colpo di scena: non appena Arnolph si fa vedere in giro con Chloé, quelli che prima lo spernacchiavano lo salutano con deferenza, addirittura il vescovo e il presidente della Repubblica gli sorridono! Terzo colpo di scena: nel giro di poche ore, Arnolph passa da «sottocontabile di un sottocontabile» a «direttore generale», con investitura da parte di Petit-Paysan in persona. Ecco le alate parole del tycoon: «Solo se creativo un uomo può dirsi pienamente uomo, la sua nomina costituisce un atto creativo, un gesto di socialismo creativo che dobbiamo contrapporre allo sterile comunismo. Questo è quanto ho da dirle. D'ora in avanti lei è direttore, direttore generale. Ma prima si prenda le ferie (aggiunse sorridendo), in cassa c'è un assegno pronto per lei. Metta su casa. L'ho vista di recente con un'incantevole signora...».
Il lettore pensa a un'«astuta mossa padronale» (cfr. Paolo Villaggio). Così è, in effetti: con i comunisti che incombono, occorre una mossa di sinistra ma non troppo, «socialismo creativo» al posto di «socialismo reale». Il sottoproletario da scrivania viene quindi elevato fino al vertice della multinazionale, facendogli credere che il motivo siano le sue eccellenti relazioni sul mercato del Canton Appenzello Interno. (Ma c'è dell'altro, e il suddetto lettore che non voglia perdersi il gusto di scoprirlo da solo, salti il prossimo capoverso.)
L'incantevole Chloé è in realtà una puttana d'alto bordo dalla quale tutti (ma proprio tutti...) i pezzi grossi della città si sono serviti. E il tapino Arnolph se ne rende conto soltanto dopo i fatidici sì: «Ho sposato una cortigiana, gridò disperato, come un animale ferito a morte...». Meglio, come Fantozzi il quale, alla vigilia delle elezioni, matura la propria coscienza di classe e sbotta: «Ma allora m'han sempre preso per il culo!».
La seconda vita di Arnolph viene così letta dal presidente della Repubblica, dal quale il Nostro si è recato per un incarico che non sveliamo: «Lei ha ricevuto una grazia, l'origine di questa grazia può essere di due specie, e dipende da lei quale: l'amore, se lei crede a questo amore, o il male, se lei non crede a questo amore. L'amore è un miracolo che è sempre possibile, il male una realtà che è sempre presente. La giustizia condanna il male, la speranza vuole correggerlo e l'amore lo ignora. Solo l'amore è in grado di accettare la grazia così com'è. Non c'è niente di più difficile, lo so. Il mondo è spaventoso e privo di senso. La speranza che ci sia un senso dietro l'assurdo, dietro tutte queste cose spaventose la conservano solo quelli che, nonostante tutto, amano».
Arnolph scommetterà sull'amore? Forse sì, ma non nel modo che la società si aspetta da lui. E forse in lui Dürrenmatt ha messo, deformandolo, qualcosa di se stesso. Tre settimane prima di morire, nel novembre 1990, durante la cerimonia di conferimento del premio Gottlieb Duttweiler a Václav Havel, ultimo presidente della Cecoslovacchia e primo presidente della Repubblica Ceca, Dürrenmatt tenne un discorso poco conciliante con il suo Paese, in cui affermò fra l'altro: «Lo svizzero gode del vantaggio dialettico di essere al contempo prigioniero e secondino...
La Svizzera, una prigione: il carcere non ha bisogno di mura, poiché i suoi carcerati sono guardie che sorvegliano se stessi; i secondini sono persone libere e perciò fanno affari tra di loro e con il resto del mondo, e quanti! Essendo pur tuttavia prigionieri non possono aderire alle Nazioni Unite e l'Unione Europea procura loro un forte mal di testa». Come a dire: per il benessere del Potere, qualsiasi potere, la neutralità è una vitamina miracolosa.
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