Occidente ignavo. È una questione di vita o di morte

Far evacuare dal Libano in occidente non è la risposta agli attacchi di Hamas ed Hezbollah

Occidente ignavo. È una questione di vita o di morte
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Il ritratto della debolezza del mondo occidentale è stato completato ieri dalla richiesta degli Usa ai suoi cittadini di lasciare il Libano di fronte al rischio di guerra fra Hezbollah e Israele. È un rischio terribile, meglio scappare, buona idea. Biden segue una serie di altri Paesi in fuga, fra loro Germania, Canada e Olanda. Il mondo che non ha trovato niente da ridire sul fatto che una grande forza terrorista pilotata dall'Iran si sia lanciata nel combattimento contro Israele al fianco di Hamas subito dopo il 7 ottobre, dopo la peggiore strage antisemita dalla Shoah, scappa. Da nove mesi è sembrato normale che dal Nord Hezbollah cogliesse l'occasione di un'alleanza pratica fra sciiti e sunniti con Hamas, dunque sull'uccidere i bimbi davanti alle madri, le madri davanti ai figli, sullo stupro e l'incendio. E che ne dovesse derivare, insieme alla tragedia dell'attacco da Gaza, anche lo sgombero dei kibbutz e delle città del Nord, così che Israele fosse stretto in una morsa. Normale, imbattibile anche il destino di distruzione possibile del Libano nelle grinfie di Hezbollah: tutti hanno avuto paura del loro odio per il loro nesso con l'Iran. Nessuno ha saputo e voluto affrontarlo, neanche a parole.

Fa specie pensare che la visita di Hochstein, l'inviato americano, abbia avuto un punto alto nella richiesta di una «urgent descalation» a Nabib Berri, il presidente del Parlamento notoriamente molto legato a Nasrallah. Nel 2006, dopo una guerra seguita a un'aggressione accompagnata da crudeli rapimenti, l'11 agosto l'Onu votò all'unanimità la risoluzione 1.701 secondo la quale Nasrallah avrebbe ritirato le sue forze dal confine con Israele oltre il fiume Litani, per essere rimpiazzato da esercito libanese e Unifil. Ma non è accaduto: il confine ha seguitato a essere il luogo da cui la minaccia si affaccia direttamente su Israele sopra e sotto terra attraverso una rete di gallerie e porta missili e un terrorismo feroce come quello di Hamas. Dal confine viene lanciato un campionario dei 250mila missili, che l'Iran ha fornito anche a Hezbollah, il suo braccio destro della conquista non solo del Medioriente ma nell'attacco messianico al mondo ebraico e cristiano.

Dal 7 ottobre lo sport internazionale più diffuso è stato cercare di fermare Israele, non di far pesare la forza dei Paesi più importanti per far rispettare la risoluzione. Questo mentre l'Onu si agitava in tutte le direzioni per bloccare Israele dal rispondere a Hamas, a Hezbollah e quindi all'Iran. Quello che accadrà adesso è difficile da prevedere: di certo Israele non può permettersi di seguitare ad avere quasi 100mila sfollati, kibbutz e città come Kiriat Shmona abbandonate, case e scuole vuote, uffici, cliniche, la magnifica agricoltura locale in rovina. La gente è importante per lo Stato ebraico, e nessuno fuori di Israele capisce che quando Gallant dice che il Libano sarà il primo a soffrirne e minaccia la guerra, non lo fa a cuor leggero, ma non può fare altrimenti.

È la vita stessa del Paese in pericolo, un'aggressione dal cielo e sulla terra molto peggiore di quella di Hamas. Questo è il tavolo da gioco, per la vita e la morte: basta far tornare a casa i propri cittadini alla coscienza occidentale?

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