Nell'Italia dei Garrone vogliamo essere fastidiosi come Franti

Il primo editoriale di Cervi per Il Giornale, pubblicato l'8 dicembre 1997

Nell'Italia dei Garrone vogliamo essere fastidiosi come Franti

Non è un giornale qualsiasi questo di cui assumo oggi la direzione. È il Giornale che nella vita pubblica e nella società Italiana ha avuto e ha un ruolo unico. Mi guardo bene dallo scomodare il lessico dei retori parlando di bandiera e di simbolo. Basta una semplice osservazione: da oltre 23 anni, tranne i pochi mesi di Berlusconi a Palazzo Chigi, il Giornale è in Italia l’unico quotidiano - tra i maggiori - d’autentica opposizione. Lo è stato, lo è, e continuerà a esserlo. Questo collocarsi «contro» non deriva da masochismo o da cecità politica, o da sordità intellettuale: deriva dalla consapevolezza, sempre confermata, che i poteri italiani cambiano etichetta ma non sostanza, e che i cittadini, pur chiamati puntualmente al voto, sono dopo il voto pregati dl non disturbare i soliti manovratori. Il Giornale ha invece ostinatamente disturbato. Lo ha fatto valendosi della guida di due grandi direttori - Indro Montanelli e Vittorio Feltri - che hanno avuto in comune, pur tra le loro tante diversità, il gusto della ribellione ai condizionamenti del Palazzo e la volontà di dar voce alle umiliate maggioranze silenziose (mi auguro che la firma prestigiosa di Feltri torni presto su queste pagine).

Gli impegni ormai acquisiti al Dna del Giornale sono più che mai d’attualità: perché poche volte o forse mai, nel mezzo secolo di questo dopoguerra, s’è avuta in Italia una così acuta sensazione di conformismo dilagante. Il passaparola dei mezzi d’informazione pretende d’accreditare l’immagine d’una Italia che, liberatasi alfine dalle pastoie d’un anticomunismo démodé è progressista, prospera, soddisfatta del suo governo, lieta di pagare sempre più tasse nel nome dell’euro, guarita dalle utopie - un milione di posti di lavoro, figuratevi! - alimentate da Silvio Berlusconi. Viene ripetuto un giorno sì e un giorno sì che dobbiamo render grazie al cielo per averci donato i ministri dai quali la finanza pubblica è stata risanata. Sulle presidenze da assegnare ai boiardi di Stato c’è qualche contrasto nell’Ulivo, ma sono bisticci tra parenti, l’importante è che il patrimonio di poltrone rimanga in famiglia. In complesso tutto va bene, non potrebbe andare meglio.

Quant’è bella la favola che dai teleschermi e dalle pagine di tanti quotidiani viene raccontata agli italiani. Noi del Giornale vogliamo invece raccontare storie vere, senza demonizzazioni ma anche senza concessioni a una propaganda pervasiva e astuta. Riconosciamo che l’abbattimento dell’inflazione è stato un ottimo risultato, analogo agli ottimi risultati ottenuti da tutti i Paesi dell’Unione europea, inclusi i più spensierati come Spagna, Portogallo, Grecia. Essendo improbabile che un fenomeno portentoso abbia riversato sull’Europa, proprio adesso, geni dell’economia a bizzeffe, sembra più ragionevole ritenere che le regole comunitarie abbiano costretto tutti i governi a essere virtuosi. Berlusconi era folle, quando pensava a un milione di posti di lavoro? Forse, con la logica di Cofferati o di Bertinotti. Ma negli Stati Uniti di posti di lavoro ne hanno creato venti milioni, e in Gran Bretagna tre milioni: è bastato che le imprese potessero assumere e licenziare senza remore. Prodi vuol invece creare occupazione con le 35 ore per decreto, e questa sì è utopia pericolosa: aggravata dalle contorsioni ipocrite con cui si spiega che le 35 ore dovranno scattare, ma dopo concertazione, e con data fissa che tuttavia è elastica. Dovremmo accontentarci di questi farfugliamenti?

Noi racconteremo la verità, o almeno ciò che in tutta onestà ci sembra tale. Si discute se quello vigente in Italia sia o no un regime. Senza dubbio non lo è, se pensiamo alle dittature rosse o bianche del passato (e del presente, come nella Cuba adorata da Rifondazione comunista, parte integrante della maggioranza). Ma la qualifica di regime è stata apposta ai decenni d’egemonia democristiana, durante i quali non vi furono lesioni della democrazia, ci furono semmai ammanchi di cassa. Se per regime s’intende la narcosi dell’informazione, l’occupazione sistematica degli incarichi, l’enfasi celebrativa, il cecchinaggio in danno dell’opposizione e del suo leader, la condizione in cui viviamo è regime più di quanto lo sia mai stata l’era della Dc. Allora l’intellighenzia con il suo apparato culturale, l’insegnamento, il sindacato più forte (la Cgil) erano ostili al governo.

Oggi sono con il governo: e contribuiscono a saldare una struttura di potere che vede insieme i postcomunisti e i postdemocristiani, la Banca d’Italia e i neocomunisti bertinottiani, le Procure «eccellenti», e la grande stampa, i boiardi di Stato e la Rai (con robuste propaggini in Mediaset). Così, un Paese a maggioranza moderata viene governato dalla sinistra all’insegna della stabilità: diventata bene supremo proprio per quelle forze politiche che predicavano la rivoluzione, e sono approdate alla restaurazione.

Noi non siamo rassegnati all’anestetico ulivista del «lasciateci lavorare» e del «quanto siamo bravi». Al Giornale sono addebitati atteggiamenti fastidiosi, maliziosi, provocatori, un Franti nell’Italia dei Garrone. Se il cantare fuori dal coro è essere Franti, il Giornale, lo dico con chiarezza, non si emenderà.

Questa direzione - in nessun modo cercata - conclude il mio lungo itinerario professionale. Potrò contare sull’aiuto di un direttore operativo, Maurizio Belpietro, che come vice di Feltri ha già dato ampia dimostrazione delle sue doti di organizzatore, e sul sostegno di una redazione di prim’ordine. Per quanto mi riguarda metterò al servizio del Giornale, ossia dei lettori, la mia esperienza e la mia indipendenza: che non deriva da formule contrattuali ma dall’estraneità - durata una vita - agli intrighi, alle appartenenze, alle ambizioni, ai trasformismi, alle candidature e alle indennità parlamentari della politica politicante. Questo mi appartiene.

Divido invece volentieri la pesante gestione della macchina aziendale e redazionale. Spero di dare ai nostri lettori il Giornale che si aspettano e che meritano di avere. Sono preziosi i nostri lettori: per il Giornale e - come antidoto alla melassa di regime - per il Paese.

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