Il morso a metà che inguaia Schlein

La leader del Pd ha optato per la scelta peggiore: l'astensione

Il morso a metà che inguaia Schlein
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L'altro ieri mentre il Pd si contorceva tra il «sì» e l'astensione su ReArm Europe, uno dei più autorevoli esponenti del partito spedito a Strasburgo dispensava un consiglio che aveva tanto il sapore dell'avvertimento per la Schlein: «Con l'astensione Elly si isola dalla sinistra europea, quella di governo. Senza contare che delude i grandi nomi del partito da Prodi a Letta, a Gentiloni che sono per il sì. Per non parlare di Mattarella. Elly rischia di bruciarsi un futuro ruolo nazionale con questa scelta». Tradotto: rischia di non far mai il premier di un'ipotetica coalizione di centro-sinistra.

Naturalmente, manco a dirlo, la leader del Pd ha optato per la scelta peggiore: l'astensione. Un errore. Se Achille Occhetto si giocò il futuro politico non quel vestito marrone con cui si presentò al duello televisivo con Berlusconi, un giorno si racconterà che la Schlein ha mandato in fumo la candidatura a Palazzo Chigi con sull'astensione sul piano di riarmo europeo: un'indicazione di voto anonima, appunto, come un vestito marrone, che metà della delegazione del Pd a Strasburgo non ha seguito e che l'ha messa a capo della Vandea di sinistra, cioè quel populismo pacifista che ha votato contro o si è astenuto sulla proposta della von der Leyen, a cui fanno riferimento la sinistra di Fratoianni e i grillini. Un populismo neppure tanto diffuso almeno nei numeri nel Parlamento di Strasburgo, ma soprattutto simmetrico al sovranismo di destra che ha giurato fedeltà a Putin. Tutta l'altra sinistra europea, quella di governo, cioè la stragrande maggioranza del Pse, ha votato sì.

La Schlein ha dato un morso a metà (e le vie di mezzo sono sempre la scelta peggiore) a quella mela che gli porgeva quel serpentello suadente di Giuseppe Conte, consumando il peccato originale che gli sarà ricordato quando avanzerà la sua candidatura per il governo. Una scelta talmente impopolare nel gruppo dirigente del Pd che ieri tre o quattro esponenti del partito (anche la mite Marianna Madia) sono usciti allo scoperto per reclamare il congresso. E, visto il caratterino di Elly, dicono che anche lei sia tentata. Congetture che fanno sorgere un dubbio: non è che la Schlein voglia diventare la leader di un Pd tutto spostato a sinistra, che punta a marginalizzare la componente riformista correndo anche il rischio di un esodo su quel versante. Una Schlein che mette nel conto di rinunciare a Palazzo Chigi o di arrivarci secondo lo schema Meloni: nessun compromesso identitario finché si è all'opposizione per poi magari cambiare vestito (non più il marrone) quando si entra nella stanza dei bottoni.

Ma qui siamo alle congetture spericolate per dare un senso a una storia - per citare Vasco Rossi - che un senso non ce l'ha. Senza spaccare in troppe parti il capello è facile che la scelta della Schlein sia stato solo uno sbaglio. Un errore madornale. Determinato da quel richiamo della foresta di stampo pacifista o studentesco, che - è il rimprovero più comune che gli viene fatto - fa parte del suo DNA. Se sei stata ingorda di cultura woke, se ti sei commossa di fronte ai film della contestazione americana degli anni '60 come «fragole e sangue», se vivi come una lacuna imperdonabile non aver partecipato ad una delle tante marce contro la guerra del Vietnam, se a 14 anni ti mettevi le margherite nei capelli e canticchiavi «mettete dei fiori nei vostri cannoni» anche se nel '67 ancora non eri nata, allora è comprensibile quest'imprudenza. Un'imprudenza che, però, potrebbe rivelarsi fatale. Per una ragione ovvia quanto banale. I tempi sono cambiati.

Immaginate come possa stare nella stanza dei bottoni una premier che ci mette una settimana a fare una scelta. E poi che scelta! L'armata rossa sarebbe già arrivata a Rieti. La verità è che nell'epoca di Trump e Putin sono bandite certe passioni.

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