Ostaggi come reduci della Shoah. Ma Hamas: "Tregua in pericolo"

Lo spettacolo desolante dei tre uomini provati, della "grave malnutrizione" denunciata dal ministero della Salute, indigna l'opinione pubblica, i parenti dei rapiti e le istituzioni israeliane al punto che il presidente Isaac Herzog parla di "crimini contro l'umanità

Ostaggi come reduci della Shoah. Ma Hamas: "Tregua in pericolo"
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I volti scavati, gli sguardi sofferenti e smarriti. Dopo 16 mesi di prigionia nelle mani di Hamas a Gaza, i tre ostaggi Eli Sharabi, 52 anni, Or Levy, 34 anni, e Ohad Ben Ami, 56 anni, sono tornati in Israele al termine della solita passerella propagandistica degli islamisti, tra fucili, passamontagna e dichiarazioni obbligate per chiedere al governo Netanyahu di «completare tutte le fasi della tregua». Lo spettacolo desolante dei tre uomini provati, della «grave malnutrizione» denunciata dal ministero della Salute, indigna l'opinione pubblica, i parenti dei rapiti e le istituzioni israeliane al punto che il presidente Isaac Herzog parla di «crimini contro l'umanità». «Il mondo intero deve guardare direttamente Ohad, Or ed Eli, che tornano dopo 491 giorni di inferno, affamati, emaciati e addolorati, sfruttati in uno spettacolo cinico e crudele da vili assassini. Ci consola il fatto che vengano restituiti vivi alle braccia dei loro cari», è il messaggio del capo dello Stato israeliano. Il Forum delle Famiglie dei rapiti si spinge perfino oltre: «Queste immagini inquietanti rievocano le foto dei sopravvissuti dell'Olocausto». E spingono Benjamin Netanyahu ad agire, ordinando «di non ignorare la situazione e di adottare misure appropriate». «Ancora una volta abbiamo visto chi sono i mostri di Hamas», insiste su X il premier, spiegando di essere d'accordo con Donald Trump sulla necessità di riportare a casa gli ostaggi ed eliminare Hamas. Il Comitato della Croce Rossa internazionale, che ha partecipato a tutti i cinque scambi conclusi fin qui da inizio tregua il 19 gennaio (18 ostaggi liberati sui 33 previsti nella prima fase), si dice «sempre più preoccupato» e lancia una proposta: «Garantire che i futuri scambi siano dignitosi e privati». Sul banco degli imputati finisce anche Netanyahu, accusato da Yehuda Cohen, padre del soldato Nimrod ancora a Gaza, di starsene «in una suite di lusso a Washington con i soldi dei contribuenti e a prezzo delle sofferenze degli ostaggi», riferimento alla visita negli Usa dalla quale il premier è rientrato ieri.

In una struttura dell'esercito, vicino al confine di Gaza, si è consumato il momento più atteso e anche più drammatico per Eli Sharabi, il 52enne ostaggio che non sapeva che la moglie Lianne e le due figlie di 13 e 16 anni sono rimaste uccise nell'attacco del 7 ottobre a Be'eri. L'uomo si è riunito con la madre e la sorella ed è stato informato solo ieri di aver perso un pezzo di famiglia, compreso il fratello Yossi, rapito anche lui, e il cui corpo è ancora a Gaza. Drammi che si consumano insieme al sollievo del ritorno. Almog Levy, 3 anni, figlio di Or preso in ostaggio al Nova Festival, quando ha rivisto il padre, è sbottato: «Abba (papà) ci hai messo tanto a tornare!». Anche Or ha appreso solo ieri che sua moglie Einav è stata assassinata il 7 ottobre.

Il sollievo investe anche le famiglie dei 183 palestinesi liberati dalle carceri israeliane, come previsto dall'intesa. Tra loro ci sono 18 ergastolani. Eppure la tregua «è a rischio» minaccia Hamas, che accusa Israele di «procrastinare» l'attuazione della prima fase. Secondo Bassem Naim, dell'ufficio politico del movimento islamista, la situazione mette «a rischio» l'accordo e «potrebbe portare al suo collasso», anche se «riprendere la guerra non è assolutamente un nostro desiderio».

Netanyahu ha dato il via libera a una delegazione a Doha che affronti i dettagli del rilascio degli ostaggi in questa prima fase. I colloqui per la seconda fase cominceranno solo dopo il Gabinetto di sicurezza di ieri sera, quando il premier è tornato dal viaggio in Usa.

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