Tenuta di Castellaro, i vulcanici Massimo e Stefania

Lentsch e la Frattolillo sono due imprenditori bergamaschi che si sono innamorati di Lipari e hanno creato un’importante realtà vitivinicola con due vigne ad alberello curate meticolosamente e una cantina che è un capolavoro di bioarchitettura. I vini sono espressioni del carattere impetuoso del vulcano, insoliti e personali, in particolare il Nero Ossidiana

Tenuta di Castellaro, i vulcanici Massimo e Stefania
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Massimo Lentsch è un imprenditore bergamasco che a un certo punto della sua vita, senza alcun preavviso, nel corso di una vacanza a Lipari si innamorò della più grande delle isole Eolie e decise che la piana di Castellaro sarebbe diventata una vigna, la sua vigna, E pur non avendo avuto niente a che fare con il vino fino ad allora nella sua vita (eravamo allora nel 2000) con pragmatico spirito austro-orobico mise in atto il suo progetto, con la complicità della moglie Stefania Frattolillo.

Tenuta di Castellaro è nata nel 2005 e conta oggi sedici ettari vitati suddivisi tra la stessa Piana e la piccola magnifica exclave di Vigna Cappero, 0,7 ettari a picco sul mare guardando Vulcano. Le vigne sono tutte rigorosamente ad alberello, sistema di allevamento che chiede un lavoro esclusivamente manuale (anche se Lentsch sta progettando una macchina in grado di operare in quel contesto), i terreni ovviamente vulcanici, che forniscono quindi un grande apporto di minerali, l’altitudine di 350 metri sul livello del mare (per la Piana di Castellaro, Vigna Cappero è a 80 metri) con esposizione a nord-ovest che garantisce escursione termica preziosa per fare la punta agli aromi.

I due vitigni autoctoni di Lipari, il Corinto Nero e la Malvasia delle Lipari, sono stati recuperati attraverso una accurata selezione massale e si accompagnano ad altri vitigni siciliani e internazionali, Nero d’Avola, Pinot Nero, Alicante, Carricante, Moscato Bianco. Le vigne sono condotte con passione e spirito sartoriale, mentre la cantina è un capolavoro di bio-architettura, un corpo quasi interamente interrato che si integra perfettamente con il paesaggio e che utilizza le risorse naturale per l’illuminazione e la climatizzazione. Un luogo di grande bellezza che dialoga non solo con il panorama ma anche con i simboli architettonici di Lipari, come il Chiostro Normanno richiamato dallo stile vernacolare della barricaia.

In una cena milanese nel ristorante Uovo di Seppia, il locale milanese del grande chef siciliano Pino Cuttaia, ho avuto modo di assaggiare alcuni vini della produzione di Tenuta di Castellaro. Sono partito dal Bianco Pomice, un Igt Terre Siciliane Bianco blend di Malvasia delle Lipari e Carricante, che riposa per sei mesi in acciaio per la parte della Malvasia e in barrique di terzo o quarto passaggio per il Carricante e poi riposa sei mesi in bottiglia dal naso elegante e nitido e dalla bocca con una piacevole scia minerale. L’altro bianco, l’insolito Eùxenos Igt Terre Siciliane Bianco, è un’interpretazione secca della Malvasia delle Lipari, che sosta per dieci mesi in afora di cocciopesto e ne esce, dopo sei mesi di bottiglia, con un corredo aromatico capientissimo (frutta fresca, frutta esotica, erbe aromatiche, note iodate, e in bocca elegante ed equilibrato e piacevolmente salmastro.

Passiamo ai rossi. Ho assaggiato il Corinto, un Igt Terre Siciliane Rosso da uve Corinto Nero in purezza che vinifica in fusti di legno di rovere francese con macerazione di circa 10 giorni e affinamento in botti di 500 litri. Il naso è di frutta rossa matura e spezie, in bocca sapidità e balsamicità tengono botta. L’altro rosso è stato il campione della serata, il Nero Ossidiana, un Igt Terre Siciliane Rosso da uve Corinto Nero (con un piccolo saldo di Nero d’Avola che pettina la scalpitante acidità del Corinto) ed è entusiasmante nelle note speziate e muschiate che vivificano la trama tannica.

Infine il figliol prodigo, la Malvasia delle Lipari Doc da uve appassite al sole su graticci per quindici giorni, fermentazione in botti di rovere e riposo in bottiglia per 18 mesi. Naso di albicocca, uva passita, con note salmastre di macchia mediterranea e una bocca in equilibrio tra dolcezza e acidità.

Tenuta di Castellaro ha anche una parte di ospitalità, sia per i visitatori che vogliano vedere una delle più belle cantine dell’intera Sicilia sia per coloro che vogliano soggiornare tra le vigne. C’è anche un ristorante affidato a un giovane chef che si è formato alla corte dei Caruso allo stellato Signum di Salina.

Lentsch e Frattolillo hanno anche un piede

sul versante nord dell’Etna, a Castiglione di Sicilia, dove a 700 metri di altitudine producono vini di cui parleremo in una prossima occasione, ma che completano il progetto di fare un vitivinicoltore vulcanico completo.

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