"Le big in Champions non comprano gli attaccanti italiani"

L'ex portiere e il flop: "Spalletti amico mio guarda avanti. Ma Di Lorenzo, Fagioli..."

"Le big in Champions non comprano gli attaccanti italiani"
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Walter Zenga oggi ha 64 anni. È stato uno dei più forti portieri italiani di tutti i tempi. Il più grande giornalista italiano lo aveva ribattezzato Deltaplano. Volava tra i pali. Zenga ha giocato soprattutto nell'Inter ma è stato a lungo il portiere della nazionale. Dopo il mitico Zoff. Ha vinto, ma ha anche perso. Per esempio la famosa semifinale del 1990, a Roma, ai rigori contro l'Argentina.

Quella sconfitta assomiglia a quella di oggi?

«Assolutamente no».

Perché?

«Perché la mia generazione aveva vinto molto. Da anni era tra le quattro nazionali più forti del mondo».

L'Italia nel '90 però era favorita. E invece uscì.

«Era favorita perché giocava in casa. E infatti vincemmo cinque partite di fila e arrivammo alla semifinale. L'Italia di quegli anni era molto forte. Aveva vinto il mondiale nell'82 e quattro anni prima era stata eliminata in semifinale dalla fortissima Olanda di Cruijff con un tiro fortunatissimo di Haan, che Zoff non vide. Nell'86 andò male, ma fu la grande Francia di Platini a eliminarci. Arrivammo ai mondiali del '90 con questo curriculum».

La Nazionale di oggi è un'altra cosa?

«Beh, se si esclude la vittoria all'Europeo del '21, con Mancini, per il resto zero: considera che dal 2010 a oggi noi al mondiale non ci siamo mai andati, e quando ci siamo andati siamo usciti ai gironi».

E tu questo a cosa lo imputi?

«Ho sentito la conferenza stampa del presidente Gravina. Diceva: Abbiamo vinto gli europei con l'under 17 e con l'under 19. Dunque i giovani li abbiamo. Vero. Però i giovani che cresciamo, in prima squadra ci vanno raramente. Le nostre squadre più forti sono composte quasi esclusivamente da stranieri. Come fai ad avere una nazionale forte?».

Dimmelo tu.

«Senza voler offendere nessuno, però è un fatto: la maggior parte dei nostri attaccanti gioca in squadre che non hanno la Champions League come orizzonte. Se una squadra vuole comprare un fuoriclasse per le posizioni chiave in campo, mica lo cerca in Italia, lo cerca all'estero...».

Spalletti dice: se i giocatori non sono in forma non è colpa mia. I club me li hanno mandati così. Ha ragione?

«Nel calcio c'è una regola: chi vince festeggia, chi perde spiega».

E tu a Spalletti dai ragione o torto?

«Da fuori è sempre difficile giudicare. Quando sei dentro è tutto più complicato. Te lo assicuro io, so cosa vuol dire fare l'allenatore. Certo, qualche obiezione posso fargliela: perché fai giocare Di Lorenzo che non è in forma? Perché metti Darmian a sinistra che ha sempre giocato a destra? Perché Fagioli che quest'anno ha giocato 10 minuti?».

L'Italia ha giocato molto male con la Svizzera?

«Non è che ha giocato male con la Svizzera: l'Italia se non fa gol Zaccagni sta a zero. L'Italia con la Spagna la palla non l'ha mai vista, e con la Croazia fino al 98esimo perdeva».

Gravina e Spalletti non vogliono lasciare.

«Ma se mandi via Gravina e Spalletti e ci metti Zenga e un altro non è che i problemi si risolvono. I giocatori selezionabili saranno sempre quelli. Le grandi squadre non ci forniranno mai fuoriclasse italiani. Va bene, polemizziamo. Però ditemi: chi ci mettiamo lì? Con che progetto? E sono migliori di Gravina e Spalletti? Io a Luciano ho mandato un messaggio: amico mio, guarda avanti, non ti girare indietro».

Donnarumma è l'unico che si è salvato?

«È l'unico ruolo nel quale siamo coperti. Dietro Donnarumma ci sono altri grandi portieri».

È una vecchia tradizione..

«Si. Sarti, Albertosi, Zoff, Buffon».

E Zenga...

(Ride).

Ti dicevo di quel giornalista che ti chiamava Deltaplano. Tu eri veramente bravo?

«Sì ogni volta che finivo un allenamento, e avevo dato tutto, allora mi sentivo bravo. Quel grande giornalista era Gianni Brera. Ogni tanto ci incontravamo al ristorante in Corso Sempione».

Torniamo al punto dolente. Quella semifinale con l'Argentina. Avevi stabilito un record di imbattibilità ai mondiali, quasi 600 minuti. Poi Caniggia spezzò l'incantesimo. Tu hai sbagliato?

«Certo. Ma se fai un errore per provare a salvare una situazione ti prendi una responsabilità: io uscii per sbrogliare, non mi riuscì. Se restavo tra i pali nessuno avrebbe dato la colpa a me».

Il tuo record regge ancora.

«Quel record è mio? È della difesa con la quale giocavo: con Bergomi, Ferri, Baresi, Maldini e Ancelotti davanti alla difesa. Conta la squadra, non il singolo».

Quel tuo errore su Caniggia ci costò il titolo?

«No. Fu un gol dell'Argentina al 70', c'erano altri 20 minuti da giocare. E poi c'era la finale con la Germania, se passavamo il turno. Non mi sento responsabile».

Cosa vuol dire perdere un incontro decisivo?

«Dopo quella semifinale con l'Argentina, nei due anni successivi sono stato nominato miglior portiere del mondo e poi ho vinto due coppe Uefa. Non puoi fermarti davanti a un insuccesso».

Però quella sera del gol di Caniggia eri disperato...

«Si. Ero disperato».

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