«Abbiamo scelto tra peggio e meno peggio»

Per Mohsen Khadivar, dissidente con anni di carcere alle spalle, il voto non cambierà nulla ma «ricorrere alla violenza è inutile»

Gian Micalessin

da Teheran

Il candidato Mahmoud Ahmadinejad è convinto di non aver fatto la rivoluzione per vivere in una democrazia. L’hojatoleslam Mohsen Khadivar, 60 anni, docente di Filososia, studioso di teologia e dissidente con alle spalle parecchi anni di carcere la pensa in maniera esattamente diversa. «Secondo me - racconta in quest’intervista al Giornale - non solo democrazia e islam sono pienamente compatibili, ma non è neppure inevitabile vivere in uno Stato religioso. Ho scritto tre libri e sacrificato la mia libertà personale per dimostrare l’incompatibilità tra l’Islam e la “velayati faqi”, la norma inserita nella nostra Costituzione che attribuisce piena autorità a un Leader Supremo. Il governo di una nazione islamica non deve necessariamente finire nelle mani dei religiosi, a meno che non l’abbia deciso un voto popolare».
Neppure Hashemi Rafsanjani, l’ex presidente da cui secondo molti dipende oggi la salvezza dell’Iran, lo entusiasma. «Siamo stati chiamati a scegliere tra il peggio e il meno peggio. Per chi non accetta le idee di Ahmadinejab è inevitabile votare Rafsanjani. Ma se vincerà non potrà dire di esser stato scelto. Le condizione minime per scegliere un presidente sono la democrazia e i diritti umani. Qui non esistono né l’una né l’altra.
Con Ahmadinejab, però, rischiate un salto indietro di vent’anni.
«Sì, ma comunque non sarà lui a decidere. La Costituzione attribuisce al presidente non più del 15% del potere. Il Supremo Leader, invece, ne controlla circa l’85%, senza contare i poteri illegali. Dunque l’unica cosa importante è arrivare all’elezione del Supremo Leader. Fino a quando non raggiungeremo quest’obbiettivo i presidenti continueranno a non contare nulla e a non poter realizzare i propri programmi. Ahmadinejab è solo l’esecutore della volontà del Supremo leader. Se vincerà non sarà un presidente, ma solo un buon segretario».
Rafsanjani però è diverso...
«Hashemi Rafsanjani ha la statura del presidente. Per questo è quasi inevitabile preferirlo ad Ahmadinejad, ma non riesco a entusiasmarmi per lui. Non stiamo scegliendo tra due schemi, non votiamo per la democrazia o la dittatura. Rafsanjani e il supremo leader Alì Khamenei lavorano assieme da trent’anni, si conoscevano ed erano amici molto prima della rivoluzione. La lotta tra loro due è solo una questione di potere personale».
Però potete votare...
«Anche Hitler venne eletto con modalità democratiche, qui sta succedendo una cosa molto molto simile».
Molti estremizzano questa interpretazione e non vanno a votare. «Sbagliano perché comunque vi sarà sempre un nocciolo duro di circa il 30% che andrà sempre e comunque alle urne. Qualcuno s’illude che una vittoria di Ahmadinejab possa contribuire a un rapida caduta del regime. Ma sbaglia perché il livello del prezzo del petrolio consentirà al nuovo nazismo iraniano di fare qualsiasi cosa. Per questo alla fine anch’io ho votato senza alcun entusiasmo per Rafsanjani».
Il voto basterà a fermare Ahmadinejab?
«La differenza tra lui e gli altri candidati al primo turno era molto meno del 5%, ma ci sono stati molti brogli. Più del 10% del voti ottenuti da quel candidato al primo turno non sembrano regolari. Dunque Rafsanjani in teoria dovrebbe farcela, ma se anche questo voto verrà manipolato l’esito resterà incerto».
Comunque vada il sistema non cambierà...
«Bisogna avere pazienza.

Oggi la popolazione iraniana non è pronta a sacrificarsi per una seconda rivoluzione. L’unica soluzione è una via di mezzo tra la rivoluzione e le riforme. Non si può confidare nella violenza perché nessuno ha la capacità e la forza di usarla. Possiamo solo usare gli strumenti della democrazia».

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