Il ministro della Giustizia Clemente Mastella aveva appena annunciato l'invio a Potenza dell'ispezione per verificare gli eventuali abusi commessi da quei magistrati nell'inchiesta sui fotografi e le veline, che è stato messo lui sotto processo. E si erano preparati per tempo. Avevano già interrogato in materia il «pentito» di turno, il direttore di una delle tante gazzette del gossip, quello che, secondo l'ordinanza dei magistrati di Potenza, «ha consentito di muovere i primi passi verso uno scenario criminale». Il poliziotto incaricato dal pm John Henry Woodcock gli domanda: «Lei diceva che Lele Mora, appena avuto notizia delle indagini su di lui, ha aperto le sue ali protettive. Quali sarebbero queste ali protettive?». E il teste: «Mora eserciterebbe pressioni su vari politici. Si è fatto il nome di Berlusconi. Questa estate Mora è ritornato nelle grazie di Berlusconi, è stato fisso al suo compleanno, una festa per pochi, con una corte di pochissimi fidati. E raccontano addirittura che il fotografo Corona teneva come un trofeo dietro la sua scrivania, bello incorniciato, una fattura firmata da Berlusconi, relativa proprio a delle immagini fotografiche che lui avrebbe fatto ritirare...».
Il poliziotto si allarga: «Lei ha parlato anche di Lele Mora in compagnia di Mastella. Chi? Il ministro della Giustizia?...». Il teste: «Un dieci-quindici giorni prima che uscisse la notizia sui giornali, ho ricevuto la telefonata di un mio amico, Nunzio Alfredo D'Angieri, detto Pupi, ambasciatore onorario del Belize. Mi disse che curiosamente aveva incontrato Lele Mora al ristorante Al Bolognese, nella saletta di sopra aveva visto Lele Mora con Mastella. Il fatto è che stavano parlando... Io gli ho detto: Ma sei sicuro? Possibile?. Perché mi sono stupito di questo incontro, perché mi risultava che Mora avesse aderenze più in un altro schieramento politico. Ma ripensai che questo collegamento già mi era stato ventilato, tra Moggi e Mora, e Mastella ha sempre preso posizione in favore di Moggi...».
Poi interviene in prima persona Woodcock. E chiede a Mora, la prima domanda: «Conosce il ministro Clemente Mastella? Lo ha mai incontrato?». E Mora: «Sì, è vero. Ricordo che un giorno ho incontrato il ministro Mastella. Io conosco il ministro Mastella, e lui quando mi ha visto è stato molto carino e gentile ed è venuto a salutare. Poi lui è salito al piano di sopra e non l'ho più visto...». Woodcock insiste: «E quando lei è andato al piano di sopra, che cosa vi siete detti?». E Mora: «Nego assolutamente di essere andato di sopra. L'incontro è stato al tavolo dove ero seduto. Mastella è passato, mi ha salutato, due convenevoli, ed è finito».
Ma non finirà così facilmente. Il copione è noto, e sarà messo in scena tutto. Mastella aveva fatto molto bene finora, aveva voluto l'indulto, aveva salvato, con l'aiuto dell'opposizione, un paio di punti non secondari della riforma dell'ordinamento giudiziario varata dal governo Berlusconi, aveva presentato il disegno di legge sulle intercettazioni, sull'uso illegale delle intercettazioni legali: «Un miliardo e trecento milioni di euro - aveva detto - spesi in quattro anni per spiare mi sembrano francamente troppi. La mia legge fermerà la corsa a questi scoop vergognosi». Mastella si era fatto delle illusioni, voleva intervenire contro il protagonismo e l'invadenza di certa magistratura, ed era sicuro di farcela. C'era già chi diceva che Mastella e Prodi sarebbero riusciti dove non erano riusciti Castelli e Berlusconi. Ma la sua legge sulle intercettazioni era stata bloccata, con i magistrati che dicevano che i politici volevano bloccare le indagini e i giornalisti che denunciavano l'attentato alla libertà di stampa. E l'ispezione a Potenza farà la fine ingloriosa di quelle che l'hanno preceduta. Peggio: il pm Woodcock, il gip che gli dice sempre di sì, il procuratore che gli firma tutte le carte passeranno per eroi della Giustizia, a cui vogliono mettere il bavaglio il ministro, amico di Moggi e di Mora, il presidente del Consiglio, che vuole coprire i misfatti del suo portavoce, e il capo dell'opposizione che vuole proteggere le figlie e festeggia il suo compleanno in compagnia dei fotografi ricattatori e degli agenti delle veline. Il modo peggiore per difendere il portavoce del presidente del Consiglio è stato quello di linciare il direttore del giornale che aveva denunciato la verità e aveva scoperto il gioco dei magistrati di Potenza. Ancora una volta i due Poli di questo bipolarismo zoppo e sghembo si sono fatta la guerra a vicenda invece di fare fronte comune per bloccare l'invasione di campo del superpotere giudiziario. Questa volta, per travolgere insieme maggioranza e opposizione, centrosinistra e centrodestra, non c'è stato nemmeno bisogno delle truppe corazzate di «Mani pulite» da Milano e dei professionisti dell'antimafia da Palermo. È bastato un Woodcock qualsiasi, in motocicletta da Potenza. Imporre arbitrariamente la censura sulle fotografie del portavoce del presidente del Consiglio e linciare il direttore del giornale che le ha scoperte e ne ha rivelata l'esistenza non servirà né all'interessato né al governo né alla maggioranza né all'opposizione. Servirà solo a sputtanare e a indebolire tutti.
Non è solo Mastella a farsi delle illusioni, e non è colpa sua. Sono quindici anni, i quindici anni della seconda Repubblica bipolare, che si dimostra che nessuno dei due Poli da solo è in grado di fare le riforme necessarie per fare uscire il Paese dalla transizione, meno che mai di fare la vera riforma dell'ordinamento giudiziario, ripristinando l'equilibrio dei poteri. Per le contraddizioni interne a ciascuno dei Poli, finora nessuna riforma è passata coerente e solida abbastanza per non essere travolta da un referendum popolare o dalla rivincita elettorale dell'opposizione che non l'ha condivisa e che si affretta a cancellarla. Si possono avere cento deputati e cinquanta senatori di maggioranza, oppure non avere margini sufficienti al Senato: è stato lo stesso. Aspettare le nuove elezioni e magari vincerle, non è servito e non servirà a niente.
Lino Jannuzzi
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