Milano - Non solo Roma. Anche Milano ieri si è svegliata con il suo incubo, con la sua storia da metropoli della paura: un altro abuso sessuale, un altro stupro. La vittima stavolta è una ragazza sudamericana di 29 anni, madre di tre bambini e sofferente di epilessia. I suoi violentatori sarebbero quattro nordafricani: giovedì scorso due di loro, armati di un coltello, avrebbero abusato di lei a bordo di un convoglio ferroviario, approfittando proprio del fatto che la donna si era addormentata a causa dei potenti farmaci di cui fa uso per curarsi. Gli investigatori, primo fra tutti il dirigente della squadra mobile Francesco Messina, nonostante la versione dei fatti fornita dalla donna presenta molti «vuoti», non hanno dubbi: la violenza c’è stata. E questo è un punto fermo di grande importanza per le indagini che, almeno al momento, non si prospettano per niente semplici.
«Il racconto della ragazza in questione è logico, certe cose non si possono inventare - asserisce Messina -. Ovvio: alcuni punti della storia sono poco chiari, ma solo perché la poveretta è costretta a prendere dei farmaci che la intontiscono, se non addirittura la fanno addormentare. E qualcuno potrebbe avanzare l’ipotesi che, quando si è svegliata in quel vagone ferroviario, non fosse del tutto in sé. Probabilmente è così, ma noi le crediamo: dopo averle parlato non abbiamo mai pensato, anche solo per un attimo, che la vicenda capitatale potesse essere frutto della sua fantasia».
Tutto è accaduto il 29 gennaio. Quando la sudamericana, come sempre al termine della sua giornata di lavoro, si accinge a salire sul treno del passante ferroviario diretto a Novara della stazione milanese di Certosa. Quando si siede e il treno riparte la donna è sola. Si lascia così vincere dal torpore dei farmaci appena ingeriti e si appisola. All’improvviso si sveglia e si trova davanti a quattro nordafricani, sente che parlano arabo. Due di loro sono armati di un coltello e sono proprio loro ad aggredirla e ad abusare di lei. Un rapporto breve, ma completo, consumato in fretta. Un abuso al termine del quale i quattro lasciano in fretta il treno e scendono alla stazione di Rho (Mi). Ancora in balia dell’effetto dei farmaci e sconvolta per l’accaduto, la poveretta si ricompone alla bene e meglio, scende dal treno a Vittuone (Mi), ne prende un altro e torna a casa. Tutto senza raccontare ad anima viva quello che le è accaduto.
Il giorno dopo la sudamericana raggiunge nuovamente il posto di lavoro dove ha una crisi epilettica. Da lì viene trasportata al Policlinico e, per la prima volta, parla al personale medico della violenza subita. Così la conducono alla clinica Mangiagalli dov’è sottoposta a una visita da parte dei medici dell’Svs (Servizio violenze sessuali). Solo in quel momento viene avvertita la polizia. «Qui c’è una donna che sostiene di essere stata violentata - spiega una dottoressa ai poliziotti -. Però, per il momento, non potete parlarle: sta troppo male, è prostrata dalla sofferenza, preferiamo che riposi».
La donna torna a casa dall’ospedale il 1° febbraio: trattandosi della madre di tre figli, secondo gli esperti della Mangiagalli sarebbe oggettivamente impossibile riscontrare su di lei i segni di una violenza subita.
L’interrogatorio con gli investigatori della squadra mobile avviene lunedì, dopo che la donna - sollecitata dalla polizia venuta a conoscenza del suo caso e aiutata da un’amica - denuncia, in maniera molto circostanziata, quanto le è successo.
«È ancora molto traumatizzata - conclude il dirigente della squadra mobile - e il suo racconto è lacunoso laddove l’intorpidimento dei farmaci ha preso il sopravvento, ma lo ripeto: noi le
crediamo. L’indagine è ora nella mani della polizia ferroviaria che a breve presto inizierà a esaminare le immagini delle telecamere presenti nelle stazioni alla ricerca di un fotogramma utile a dare un volto agli aggressori».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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