Si chiamano Ied, improvised explosive device. Nella traduzione del capitano dei parà Zàzzeri: «Ordigni di fantasia, messi insieme con reperti di fortuna, a basso costo, da quei grandi artigiani della guerra che sono gli afghani. Bombe micidiali, particolarmente subdole». In genere, come il capitano aveva mostrato al gruppetto di giornalisti italiani arrivati a Kabul il 27 giugno scorso, sciorinando gran messe di diapositive e filmati, gli Ied sono collocati sul bordo delle strade, o più spesso agli incroci, là dove la terra battuta confina con l'asfalto. Una buca, un «piatto di pressione», ovvero una mina anticarro o un proiettile da 150 millimetri, la terra a ricoprire, e un oggetto qualsiasi: un sacchetto di plastica, un pezzo di compensato, una gallina morta, un cartone sbrindellato a dissimulare il tutto.
Così ieri mattina è morto il caporalmaggiore Alessandro Di Lisio, 25 anni, molisano di Campobasso, in forza all'8° reggimento Guastatori Paracadutisti di Legnago. Gli altri tre soldati che erano con Di Lisio sul blindato «Lince» investito dall'esplosione sono rimasti feriti: il tenente Giacomo Donato Bruno, di Mesagne (Brindisi); il primo caporal maggiore Simone Careddu di Oristano e il primo caporal maggiore Andrea Maria Cammarata di San Cataldo (Caltanissetta). Il convoglio di cui i soldati facevano parte tornava da Bala Buluk alla base «El Alamein» di Farah, nell'ovest del Paese, percorrendo la famigerata Ring Road, quella «517» già trasformata altre volte dai talebani in una specie di trappola mortale per le forze della coalizione che vi transitano. I soldati italiani (una pattuglia di paracadutisti della Folgore e del reggimento Bersaglieri) tornavano dall'aver fornito assistenza e supporto alla costruzione di una caserma dell'esercito afghano. Di Lisio viaggiava sul primo mezzo della pattuglia, e stavolta il «Lince» (un ottimo veicolo blindato, che perfino gli americani ci invidiano) non è riuscito a fare il miracolo.
Qualche ora prima, nello schianto di un elicottero nella provincia meridionale di Helmand, hanno perso la vita almeno sei persone: a bordo del velivolo, il cui abbattimento è stato rivendicato dai talebani, si trovavano gli impiegati di una società che lavora per le forze internazionali.
La tensione è crescente nel Paese in vista delle elezioni presidenziali del 20 agosto, e tutto fa pensare che quelle di questi giorni, compreso l'attacco alla pattuglia italiana, siano le «prove generali» del contrattacco che i talebani, duramente piegati dal rullo compressore americano nell'Helmand, contano di sferrare alle forze lealiste e a quelle della coalizione in vista dell'appuntamento elettorale, quando gli occhi del mondo saranno puntati su Kabul. L'offensiva, in particolare statunitense e britannica, si concentra nella valle di Helmand, bastione dei talebani e centro mondiale della produzione di oppio. Difficile pensare che in quest'area le elezioni del 20 agosto possano svolgersi regolarmente, anche se nella regione sono stati schierati quattromila marine Usa e 800 soldati britannici che hanno dato vita a una delle più imponenti operazioni militari del dopoguerra. Centinaia i talebani uccisi dall'inizio delle operazioni, anche se manca una stima precisa delle vittime.
Se poi l'attentato di ieri avesse per obiettivo proprio gli italiani, è difficile dire.
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