Agnes Hirschi: «È morto amareggiato»

Agnes Hirschi: «È morto  amareggiato»

«Adesso mio padre sarebbe contento. Invece è morto molto amareggiato». A parlare è Agnes Hirschi, la figlia adottiva di Carl Lutz. Lei stessa ha sperimentato il coraggio e la generosità di quello che sarebbe diventato suo padre. Allora era solo una bambina. Nel 1944 fu accolta con la madre Magda all’ambasciata svizzera. Come loro, tanti ebrei bussavano alle porte della sede diplomatica in cerca di protezione. Molti furono accolti. Anche Magda, ufficialmente assunta come governante. Fu così che si salvarono.
Dopo la guerra, Lutz divorziò dalla moglie Gertrud per sposare la madre di Agnes. Insieme affrontarono quegli anni difficili, durante e dopo la guerra. «Carl era molto nervoso, stressato. Mangiava e dormiva poco – racconta la figlia, oggi giornalista in pensione -. Era sottoposto a una pressione tremenda. Me ne rendevo conto anch’io, benché fossi una bambina». Non solo gli incontri con Adolf Eichmann erano una continua sfida nei confronti della Germania nazista che aveva pianificato lo sterminio degli ebrei, ma anche sul fronte interno per Lutz il percorso era irto di ostacoli: non poteva contare sull’appoggio di Berna. I richiami del governo elvetico erano continui. Anche dopo la guerra la situazione non cambiò molto. In patria gli fu riservata un’accoglienza che non si aspettava. Aveva rischiato la vita per salvare 62mila ebrei. Morì nel 1975, come un illustre sconosciuto.
«Nonostante avesse avuto grandi attestazioni di gratitudine da Israele, per lui è stato sempre molto frustrante sapere che il proprio operato non fosse stato apprezzato in Svizzera – dice Agnes -. Adesso sarebbe contento, l’atteggiamento del governo è molto cambiato».
Proprio di recente Berna ha reso omaggio a Lutz. In occasione del suo viaggio a Budapest lo scorso ottobre, Micheline Calmy-Rey, ministro degli Esteri elvetico, ha preso parte alla cerimonia organizzata per la posa di una targa sul monumento, dedicato a Lutz, eretto nel 1991. «Per mia madre Carl era un eroe – dice la figlia -.

Tutti ne parlavano in questi termini a Budapest. Per me era un padre molto affettuoso, che amava viziarmi, una persona assolutamente normale. Solo in seguito, lavorando alla ricostruzione di tutta la vicenda, mi sono resa conto del valore del suo operato».

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