Angosciati dallo spread, ci si consola con l’Hermès. L’Italia che non arriva alla famosa quarta settimana nella prima si mette in coda alle boutique, consuma le vie del centro con l’auto in seconda fila per non perdere la griffe, con quel che costa la griffe e pure il carburante per arrivarci. L’inflazione galoppa, ma l’italiano corre anche lui, verso il benessere se non reale, almeno immaginario. È una crisi mai vista, un grande inverno che durerà ancora molto, e per affrontarlo che c’è di meglio di un cachemirino quattro fili? Dopo i poveri col Porsche a Cortina, ecco gli italiani disperati, talmente disperati che nel gennaio del quasi default fanno shopping come sempre. Saranno anche in calo questi acquisti, ma il sottofondodi clacson e i centri chiusi al traffico per troppa ressa sono una curiosa foto per un paese in crisi nera.
Un’economia da simil-dopoguerra? Gli esperti dicono così, ma è un dopoguerra fatto di reduci che puntano soprattutto a «cappotti, abiti, scarpe e maglioni meglio se griffati », dice Confcommercio. «A non rinunciare all’occasione saranno sette italiani su dieci», dice sempre l’associazione dei commercianti, che forse è di parte tifando per lo smercio ma non sembra lontana dal vero, a giudicare dalle masse in movimento nelle vie dei negozi. Spesa media: 200 euro a testa.Va bene che è meno dell’anno scorso che era meno di quello prima, e che si fa all’outlet più che nel negozio di via Condotti o Montenapoleone, ma non ha proprio l’aria di un’economia di sussistenza.
Questi italiani declassati, senza la tripla A e bacchettati dalla Merkel sono pronti a fare sacrifici. L’iPhone di diciottesima generazione aspetteranno il meno 20% per prenderlo, gettando nel cassonetto quello di diciassettesima che andava benissimo, di Hogan nuove ne prenderanno un paio solo, non due, perché c’è la crisi. Il bambino di sei mesi vestirà Prada e Armani Jr, ma presi all’outlet, non vedi che lo spread è sopra i 500 punti? Non potendo fare a meno del nuovo Suv Audi, poiché hai una famiglia numerosa di addirittura tre persone, lo si prende in leasing, in comode rate, non come quando non c’era la crisi (e soprattutto non c’era il nuovo Fisco spione) che si comprava cash. Si rinuncia a tutto ma non al superfluo, l’italiano in crisi concorda in pieno con Oscar Wilde. Se lo si trova a più buon mercato meglio ancora, e quindi la Befana dello spread osserva perplessa una nazione piegata dalla recessione che fa mezz’ora di coda al casello autostradale di Serravalle per accalcarsi nell’omonimo Outlet, famoso per le marche dell’«haute couture», cioè gli stilisti da mille euro ad abito. La Borsa crolla, il borsellino si apre lo stesso. «Partenza che supera ogni aspettativa, considerando che avviene in un giorno feriale» è il commento dagli shopping center di Barberino (più 15%), Castel Romano (più 7%), Soratte (più 15%). Spiantato ma griffato, recedo ma con stile.
In centro non si cammina: troppa crisi. Fossimo pronti a lavorare come per lo shopping, cresceremmo come la Cina. Gli economisti cercano le formule per uscire dalla crisi, ma gli italiani l’hanno già trovata: girare per negozi. Osservano le vetrine, comparano e poi comprano, un po’ meno ma comunque parecchio di più di quel che farebbe un paese disperato. L’eurozona sta collassando, lo spread sale e i titoli crollano, il mercato non aspetta. Meglio prenderla subito, prima che sparisca, quella borsa in coccodrillo di Gucci. Sessantamila persone in un giorno all’Orio Center, almeno cento metri di coda da Abercrombie & Fitch, griffe coi modelli palestrati e i commessi pure. Lo ripetono i politici: il tracollo è alle porte. Bisogna farsi trovare griffati e allenati quando bussa.
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