Alfano: «La riforma degli ordini si farà»

Delle grandi imprese tutti ne parlano. Pochi si occupano invece di quelle piccole e piccolissime. Sembrano essere però addirittura di meno, quasi nessuno, gli interessati alla sorte di altre imprese, quelle a cui danno ogni giorno corpo e anima 2 milioni di liberi professionisti, il 3,3% della popolazione. Imprese insomma quasi invisibili, se non fosse che dal loro lavoro scaturisce il 12% del pil. Imprese che come le tutte le altre, in momenti di crisi, soffrono. E che spesso sono costrette a chiudere.
A prendere un impegno con questo esercito dimenticato è stato ieri il ministro della Giustizia Angelino Alfano nell’ambito degli Stati generali delle professioni. La riforma degli Ordini, ha detto Alfano, «si era fermata tante volte in Parlamento. Ma ora ci siamo noi e la faremo». Una riforma che, nelle intenzioni del ministro, metta «al centro il cittadino garantendo un’alta qualità delle prestazioni». E che al tempo stesso preveda «tariffe chiare e trasparenti che non siano un labirinto, ma un rettilineo, assicurando ai professionisti la dignità e il prestigio che derivano loro dall’essere dei laureati che hanno superato un esame di Stato».
L’urgenza di una tale riforma era emersa chiara e netta da un recente sondaggio commissionato da Confprofessioni. Con tre richieste sostanziali che sembrano riecheggiare parole del ministro: primo, che gli Ordini vengano riformati (a chiederlo è stato il 60,3% del campione); secondo, che vengano reintrodotte le tariffe minime (un punto sul quale concorda il 68,9%) abrogate dalla riforma Bersani del 2006; terzo e ultimo punto, che il libero mercato, per quanto fuori discussione, vada comunque controllato. Almeno per evitare che una emergente concorrenza low cost, ma qualitativamente non sempre verificabile, si possa pericolosamente trasformare in anarchia.
«Ogni ipotesi di riforma - ha dichiarato ieri agli Stati generali il presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti, Claudio Siciliotti - deve sgombrare il campo dall’assurdo dibattito sul cosiddetto sistema “duale“». Nel senso che nel nostro ordinamento «i liberi professionisti sono soltanto coloro che hanno conseguito un titolo professionale espressamente riconosciuto dallo Stato dopo il superamento dell’esame». Questo senza escludere, secondo Siciliotti - sostenitore comunque della necessità di una modernizzazione, che a «nuove professioni oggi non riconosciute, ma di rilevanza sociale tale da giustificarne il riconoscimento, si debba valutare l’istituzione del relativo ordinamento professionale». Ma laddove «esistano solo associazioni sindacali che rappresentano lavoratori autonomi che esercitano attività riconducibili a quelle di ordini professionali già esistenti», si tratterebbe di «rivendicazioni che non hanno nulla a che vedere con i temi della riforma delle professioni».
Concetti fatti propri anche da Paolo Piccoli, presidente nazionale dei notai.

Che esprimendo apprezzamento per l’impostazione del ministro sul tema di una tariffa che sia «chiara, trasparente, certa e quindi inderogabile», ha detto come la categoria notarile approvi «l’idea di una legge quadro che fissi i principi comuni e definisca in modo chiaro le professioni facendo riferimento all’articolo 33 della Costituzione, per poi procedere con provvedimenti di settore per i singoli ordini».

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