
nostro inviato a Washington
«Non potevo fare meglio di così, vero?». Se la ride Donald Trump, che accoglie Giorgia Meloni alla Casa Bianca con una sequela di complimenti e affettuosità. «Great person», dice rivolto alle telecamere quando - alle 12 esatte ora di Washington - la premier arriva all'ingresso nord della West Wing. Replica pochi minuti dopo, prima che inizi il pranzo di lavoro tra le due delegazioni. «Mi piace, è una grande leader e sta facendo un lavoro eccezionale, ha un enorme talento», rincara la dose il presidente americano. Che ritorna sul punto un'ora dopo, durante il cosiddetto pool spray, con telecamere, fotografi e giornalisti assiepati davanti a Meloni e Trump in uno Studio Ovale che l'ex tycoon ha rinnovato rispetto ai tempi di Joe Biden con oro ovunque, dagli specchi in stile rococò ai minuscoli cherubini arrivati da Mar-a-Lago, fino alle aquile dorate sui tavolini.
Dettagli, certo. Perché quel che conta davvero è la sostanza. Ma anche la diplomazia ha le sue regole, ed è evidente che The Donald sta facendo di tutto per sottolineare quanto il rapporto con la premier italiana sia stretto. Tanto da aprire alla stampa anche i primi minuti del business lunch nella Cabinet room, circostanza piuttosto eccezionale.
E infatti Meloni lascia Washington non solo tirando un sospiro di sollievo, ma con la consapevolezza di aver ottenuto il massimo possibile da quella che forse è stata la sua missione più difficile e rischiosa da quando siede a Palazzo Chigi.
La premier, infatti, riesce a portare a casa due risultati non scontanti.
Il primo è evitare inciampi a favore di telecamere, visto che l'imprevedibilità di Trump in questi mesi ha già colpito più di un leader ospite alla Casa Bianca. Invece Meloni tiene la barra dritta anche quando la stampa italiana le chiede cosa pensi del fatto che il presidente americano considera Volodymyr Zelensky responsabile della guerra in Ucraina. «Sapete come la penso», risponde. «Penso che ci sia stata un'invasione e che l'invasore fosse Putin e la Russia, ma - aggiunge - quello che oggi è importante è che stiamo lavorando insieme per arrivare in Ucraina a una pace giusta e duratura». Sulla premessa Trump non è troppo d'accordo, tanto che ci tiene a dire che pur non considerando Zelensky responsabile della guerra non è certo un suo fan. Una distanza che visti i rispettivi punti di partenza è davvero minima, quasi una sfumatura. La conferma che il bilaterale alla Casa Bianca è stato preparato con cura e che da entrambe le parti si è deciso di muoversi con l'evidente intento di smussare le distanze ed enfatizzare le convergenze.
Lo fa Trump evitando qualsiasi accento critico verso l'Europa. Anzi, quando gli chiedono se ripeterebbe che gli europei sono «parassiti» scuote la testa e alza le sopracciglia interdetto. «Non so di cosa parlate», glissa rivolto ai gironalisti. Con Meloni che conferma: «Non lo ha mai detto». Che è tecnicamente vero, visto che Trump si è limitato a dirsi d'accordo con il suo vice J.D. Vance, che invece sì aveva definito gli europei «parassiti». Ma la diplomazia è anche questo e stupirsi di un po' di sana realpolitik sarebbe ipocrita.
Il secondo risultato che incassa Meloni è ancor più pesante. È il sì di Trump a una prossima visita a Roma che possa essere l'occasione per quell'incontro tra il presidente americano e i vertici dell'Unione europea che possa finalmente aprire la strada a un confronto sui dazi. Il signore del caos di Mar-a-Lago ci tiene a ripetere che sul punto non ha «cambiato idea», ma è evidente che un passo del genere apre un canale negoziale nuovo. E, come aveva chiesto Ursula von der Leyen a Meloni nei giorni scorsi, con il coinvolgimento diretto dei vertici della Commissione Ue. Decisamente un passo avanti. Anche perché Trump non esita a dire che «un accordo ci sarà al 100% e sarà un accordo equo». Insomma, un approccio decisamente più soft rispetto a qualche giorno fa.
E in quest'ottica la premier ha lasciato più di un indizio sull'offerta italiana, a partire dall'aumento delle spese militari al 2% del Pil: «Aumenteremo l'importazione di gas, le nostre imprese investiranno dieci miliardi negli Stati Uniti».
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