All'Ambrosiana tutte le tenebre di Manganelli

Giovedì 31 marzo alla Biblioteca Ambrosiana appuntamento con i «giovedì letterari» con la presentazione di «Ti ucciderò, mia capitale» (Adelphi, 376 pp., 25 euro). Una raccolta di scritti e racconti inediti che svelano il lato più oscuro dello scrittore milanese morto nel 1990

Abituati come siamo a vedere inzaccherata la geografia dalla concretezza di cifre di economia, politica e finanza, abbiamo perso la capacità di vedere la geografia delle persone. I deserti delle solitudini, i monti invalicabili dei rapporti, le cascate degli umori. È su questo atlante tormentato che ha dipinto i suoi racconti Giorgio Manganelli, protagonista del prossimo «giovedì letterario» alla Biblioteca Ambrosiana di Milano. Il 31 marzo alle ore 18, infatti, l'appuntamento tradizionale con la cultura all'Ambrosiana sarà dedicato alla presentazione di «Ti ucciderò, mia capitale», la nuova raccolta di racconti dello scomparso autore milanese edita da Adelphi.
Si tratta del quarto appuntamento della rassegna 2011, senza dubbio il più strettamente «attuale». Dopo l'esordio in gennaio con la presentazione degli atti del convegno «Vita pubblica e privata nel Rinascimento» e le date di febbraio con il trattato «Del sublime» di Dionisio Longino e i «Ragionamenti d'amore, poesia e ritratto nel Rinascimento» di Lina Bolzoni, ecco tornare la narrativa contemporanea. Alla presentazione (in sala XXIII della Pinacoteca Ambrosiana) interverranno il curatore dell'opera, Salvatore Silvano Nigro ed Ermanno Paccagnini, coordinati da Armando Torno. Al centro della serata, come scritto, un libro postumo, edito nella Biblioteca Adelphi a 21 anni dalla morte di Manganelli. Personaggio poliedrico e moderno, Manganelli. Narratore, accademico di Letteratura inglese, collaboratore del terzo canale radio della Rai, corsivista, consulente editoriale. Un intellettuale proiettato verso i nuovi media ma comunque ancorato a quell'angoscia dell'uomo novecentesco. Ed è questo intimo strazio, di cui tiene una dettagliata mappa, il leit-motiv di «Ti ucciderò, mia capitale». Quasi 400 pagine di scritti inediti (stesi tra il 1940 e il 1982) in cui le tenebre dei racconti vivono di immediati chiari di luna, neon puntati sulle inquietudini più sottili. La poesia decadente di De Quincey, gli echi di Swift, l'enciclopedico enumerare di Borges. Una cifra stilistica complessa e ramificata, che permea ogni racconto in un susseguirsi di «disagi»: ambientali, esistenziali, onirici, polimorfici.

La forma, la percezione, il nulla «popolato di nulla tormentosi», una serie di scompensi dell'anima che riecheggiano quei racconti di Edgar Allan Poe che lo stesso Manganelli tradusse e portò in Italia. Una prosa elaborata, quella di Manganelli, che ben si adagia sulle complessità geografiche della donna amata, di un'umanità indecisa, di un'esistenza contemporanea in cui non sappiamo più orientarci.

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