La passano su Tele Montecarlo e spesso, in studio, c'è l'avvocato Gianni Agnelli a commentare. Eppure, anche se tra le qualifiche principali degli italiani c'è quella di essere un popolo di navigatori, sarebbe temerario affermare che la vela sia uno sport seguito. Le cose però stanno gradualmente cambiando. Come spesso accade, quando dei tuoi connazionali colgono un successo di calibro planetario la gente inizia ad interessarsi. Nulla però succede d'improvviso.
Per comprendere il fenomeno de Il Moro di Venezia, l'imbarcazione che ormai oltre trent'anni fa - era il 1992 - lucidò i sogni di milioni di italiani, bisogna riavvolgere solennemente il nastro. Scendere tra le pieghe del tempo, fino ad indovinare la figura sottile del ravennate Raul Gardini, divoratore di onde per diletto, poi promettente velista, quindi ambizioso imprenditore. Sul mare si muove bene. All'inizio degli anni settanta partecipa alle prime competizioni, manifestando un talento gestionale insolito e intuizioni poderose. Non sarebbe comunque ancora abbastanza per far svoltare questa storia. Serve, come sempre, il fatidico click.
Che arriva, puntuale, quando il genero Serafino Ferruzzi fa dono a lui - e al cognato Arturo - di una imbarcazione maestosa per i risultati imprenditoriali acquisiti. Gardini si sfrega gli occhi: è un maxi in legno lamellare che porta in dote un nome imponente. Il Moro di Venezia. La vicenda prende il largo da qui. Raul rimugina sulle sue qualità come velista e sull'eventualità di provare ad alzare il tiro. A volte però un segnale solo non basta. Ne servono almeno due.
Così ecco un telefono che trilla insistentemente, nell'estate del 1984. Una voce femminile, giovane, che trepida mentre suggerisce: "Papà, dovresti vedere quel Paul Cayard, oggi ha surclassato tutti". Altra scintilla. Il timoniere americano è stato chiamato all'ultimo istante alla Sardinia Cup, per rimpiazzare Lorenzo Bortolotti alla guida di Nitissima. Ed ha stravinto. Il consiglio della figlia Eleonora non resta inevaso. Gardini vola subito sull'isola per conoscerlo di persona. In breve tempo se ne innamora. Il progetto del Moro procede a vele spiegate. Adesso che ha incontrato un fuoriclasse, quell'imbarcazione può davvero immaginarsi un sogno impudente: partecipare alla Coppa America. E magari provare pure a vincere.
Paul Pierre Cayard da San Francisco viene ricoperto di grano: assegno annuo da 200 milioni delle vecchie lire. C'è però una questioncella da dirimere: secondo il regolamento, su una barca italiana, lo skipper deve essere italiano. Problema superabile: l'americano prende la residenza a Milano e buonanotte alla burocrazia. Nel frattempo, nel cuore incandescente dei cantieri navali, si affastellano le versioni successive del Moro e si svolgono rigide selezioni dell'equipaggio. Si spostano poi tutti a Palma di Maiorca, per riprodurre condizioni ambientali simili a quelle offerte dalle prossime acque di San Diego. Il Moro viaggia veloce, ma è ancora fuori dai radar della gente. Nelle case italiane si parla di calcio, motori, di quando in quando di tennis. La vela resta un pensiero laterale.
Fino, almeno, al 30 aprile del 1992. A quella finale della Louis Vitton Cup che vede Cayard e Gardini spuntarla sul team New Zealand di Rod Davis e Michael Fay. Ora cucine e salotti iniziano a farsi umidi. Le pietanze galleggiano. Ne parlano i telegiornali. Ne scrivono in edicola. La gente inizia a farsi qualche domanda. "Ma chi sono questi? Oh, c'è un'italiana in finale". Il fuso orario certo non aiuta, ma comunque la notizia passa solenne. Moro sotto di 3 a 1, ma poi gli elicotteri che rombano sopra le acque increspate e i teleobiettivi scoprono la truffetta. Quelli di New Zealand hanno violato il regolamento. Annullato il quarto punto. Kiwi gettati in crisi mistica. Straordinaria rimonta italiana: 5-3. Il vessillo del Leone di San Marco sventola regale e vittorioso.
La festa che erompe è fenomenale, perché è la prima volta che una nostra imbarcazione porta a casa la coppa ed accede allo scontro decisivo, quello per alzare al cielo l'America's Cup. Poco rileva, a quel punto, se l'America3 - avversaria del Moro - risulterà imprendibile.
Gardini e Cayard stavolta perdono, ma tornano con tutti gli onori a Ravenna e poi a Venezia. Ad accogliere l'equipaggio ci sono migliaia di persone. Una sconfitta tramutata in vittoria. Ora la vela è sulle labbra di tutti.
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