«Ambrogino al bimbo down che manteneva la famiglia»

L’orsacchiotto con la tutina a strisce è sull’angolo di quella mensola. Non suona più. Le quattro stilo 1,5 volt costano tre euro virgola quaranta centesimi. Ma in questa casa, al primo piano del civico 5 di via Pomposa, con tre euro virgola quaranta cents si comprano tre litri di latte. Opzione obbligata per papà Salvatore Pace che, disoccupato, deve sfamare tre bocche. Unica scelta possibile da quando non c’è più la pensione di Angelino.
Già, era Angelino che manteneva la sua famiglia. Lui, bimbo down, due anni e, raccontano le foto, un sorriso malandrino sempre stampato in faccia. Non spiccicava neppure una parola, Angelino, e non poteva neanche fare un passo. Ma era il sostegno della sua famiglia: con 444 euro al mese campavano la mamma rimasta senza lavoro, il papà Salvatore pure lui disoccupato e i due fratellini, Rosario e Federico di quattro anni e di dodici mesi.
Quadro familiare di povertà, di miseria che, non è esagerazione del cronista, trasuda persino sulle pareti dove, sorpresa, anche il crocifisso si è spezzato in due. Tre stanze, quaranta metri quadri e i pochi ricordi di Angelino, morto nella notte del 17 marzo 2005.
«Aveva la febbre» dice Salvatore, «all’una di notte gli ho dato qualche goccia d’acqua, un bacino e poi...». Tre ore dopo, la corsa disperata dell’ambulanza, il tentativo disperato di salvarlo dei medici della De Marchi. Inutile. Angelino non ce l’aveva fatta, il suo fisico da batuffolo sgraziato non aveva retto. «Altre volte era successo» continua il papà: «Si era sempre ripreso, stavolta...» e giù baci alla foto del suo piccolino. «Lui era il ricco di casa», «quella pensione arrivata grazie all’interessamento di un avvocato», «l’aiuto di una maestra, qualche piatto di carne, arance e sempre la bresaola per Angelino». Gli piaceva la bresaola, ne era ghiotto come suo fratello Rosario.
Tre anni dopo, quella «brutta notte», la sua famiglia è ancora in miseria e sempre a caccia di un lavoro, «l’ernia mi blocca la schiena» continua Salvatore che non nasconde il passato, «ho venduto droga, sono stato dentro e ho pagato lo sbaglio», ma spera nel futuro, «a cinquant’anni è davvero difficile trovare un posto anche quello che ti spezza la schiena portando le cassette di frutta». Difficile non mettere la mano al portafogli ma ancor più difficile per la Milano dal coeur in man non ricordare Angelino. Il pensiero corre all’Ambrogino d’Oro, proposta firmata da Giulio Gallera e da Matteo Salvini: «Un caso umano che non può lasciarci indifferenti, che impone al Comune di affrontare concretamente queste condizioni di disagio estremo». Virgolettati che Bruno Dapei e Giovanni De Nicola, capigruppi in Provincia, completano preannunciando «la richiesta dell’Isimbardi al piccolo Angelino». Riconoscimento con un invito al presidente Filippo Penati di «rendersi disponibile per rispondere ai problemi della famiglia Pace».
Tutti, come dire, portavoce di una storia.

Tutti pronti a rispondere all’appello non solo col pensiero ma con l’azione e, fatto non da poco, tutti disponibili perché al cinque di via Pomposa quell’orsacchiotto malandato caro ad Angelino possa suonare ancora. Significherebbe non dovere scegliere più tra il latte e le quattro stile 1,5 volt.

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