da Padova
Era un ragazzo bravo e sensibile, con un eccezionale senso del dovere, il ragazzo di 25 anni di Carmignano che si è sparato un colpo di fucile per aver ammaccato l'auto del padre, una Fiat coupé rossa. Per lui, che da qualche tempo aveva trovato lavoro come operaio nel Vicentino, prendere di nascosto l'automobile del genitore era una grossa trasgressione.
Nella strana «giostra» di valori del Nordest onesto e lavoratore, a volte un'auto vale più di una persona: dopo il colpo, esploso con un Flobert a pallini, il ragazzo è stato ricoverato nel reparto di rianimazione di neurochirurgia dell'ospedale di Padova, in condizioni disperate. Soltanto un miracolo avrebbe potuto salvarlo, ma il miracolo stavolta non c'è stato. Dichiarato clinicamente morto, per volontà della famiglia al giovane saranno espiantati gli organi per la donazione. I carabinieri di Carmignano hanno accertato che il ragazzo aveva passato la serata con gli amici nel giardino di casa, all'aperto, perché era caldo. Al termine della serata, aveva preso la coupé per accompagnare a casa un'amica: soltanto per poco tempo, lo spazio di una mezz'ora o poco più. In fondo, non doveva andare lontano: la macchina era nel garage di casa e nessuno se ne sarebbe accorto. Non poteva succedere come la volta precedente, quando l'aveva ammaccata, sarebbe stato attento. Il meccanico l'aveva restituita da una quindicina di giorni. Non si può essere sfortunati due volte di seguito. Invece, al ritorno, nell'affrontare una rotonda, poco prima di entrare a Carmignano, il giovane ha perso il controllo del mezzo: la coupé rossa è uscita di strada, una fiancata e un passaruota strisciati; danni modesti, riparabili con una spesa di poche centinaia di euro. Ma per il giovane operaio quella era la goccia che faceva traboccare il vaso. Non sapeva come dirlo al padre. Tutto qui il movente del suicidio, secondo gli investigatori, che non hanno avuto il coraggio di approfondire i perché, per evitare di ferire ancor di più i genitori sconvolti. Né, del resto, i carabinieri sono tenuti ad approfondire un movente chiarissimo, confermato anche dal fratello del giovane suicida. Lui sì, aveva bisogno di parlare: è stato lui a trovare il ragazzo agonizzante, riverso in una pozza di sangue, dopo averlo rincorso per fermarlo, perché aveva capito che cosa stava succedendo. «Mio fratello era molto, troppo sensibile, ci teneva tanto all'opinione dei nostri genitori».
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