Chiara Levantesi
Entra in punta di piedi, anche nel golf, il controllo antidoping. La notizia, in un momento poco favorevole allimmagine dello sport, imbrattato da una malsana voglia di vincere, lascia esterrefatti gli appassionati del green e tutti coloro che da sempre associano il golf al fair play. È vero, infatti, che ogni disciplina ha il suo decalogo di sani principi da rispettare, ma certo è che il golf è primo nella classifica del bon ton. Cosa direbbe ora il circolo dei saggi che 250 anni fa, a St. Andrews, scrissero le regole del gioco, fatte di integrità e correttezza alla pari di talento e forza? Forse i saggi direbbero che il gioco è cambiato, che il numero di competizioni è aumentato troppo, che i premi sono eccessivamente importanti, tanto che la voglia di vincere ha finito per seguire la vecchia regola del fine che giustifica i mezzi.
A far scattare lallarme doping, è stata una serie di analisi effettuate negli ultimi cinque anni dalla Federazione francese su una rosa di professionisti. Le provette hanno fatto luce su un mondo di insospettabili, dove circa il 13 per cento dei giocatori fa uso di sostanze vietate. Per ora, tuttavia, lantidoping del green avrà un esordio amatoriale. Il test, a caccia di cocaina, ecstasy, betabloccanti e steroidi, sarà sperimentato in Sudafrica, a Stellenbosch, durante il World Amateur Team Championship, in programma dal 22 al 29 ottobre, quando tutti i partecipanti dovranno obbligatoriamente sottoporsi ai controlli.
È toccato a Peter Dawson, presidente del Royal and Ancient Golf Club, dare l'annuncio a margine dellOpen di Gran Bretagna. «Non credo che nel nostro sport ci siano molti casi di uso di sostanze dopanti - ha detto -. Non sento particolari pressioni, vorrei essere chiaro, ma cè una normativa internazionale da applicare, così come richiesto dalla Wada, lagenzia antidoping mondiale».
E come in tutte le cose cè sempre il rovescio della medaglia.
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